
Stanco e polveroso camminava un pellegrino con lo sguardo fisso all’orizzonte se mai sopra il biondo del grano, sopra il verde del bosco, spuntasse il cupolone del santuario a cui muoveva per sciogliere un voto.
A sera giunse davanti a un albergo: dalle finestre usciva un dolce suon di musica misto a un profumo di vivande apparecchiate. Si fermò a leggere l’insegna. Subito gli venne incontro l’oste e con inchini e sorrisi e preghiere lo trasse dentro.
Allora da ogni angolo della sala gli vennero accanto i camerieri lindissimi chi per un servizio, chi per un altro; chi gli portava piatti ricolmi e fumanti, chi bottiglie umide e polverose.
« Desidera altro? Siamo a’ suoi cenni». « Che luogo incantato! — diceva il pellegrino. — Che lieto vivere! peccato che non mi posso fermare ». E tutti a supplicarlo di rimanere ancora, per una notte almeno, per un mese, per sempre. « Vorrei, ma non posso… » rispose; « una inflessibile necessità mi sforza ad andare ».
E s’alzò. Ma ecco improvvisamente l’oste porgergli il foglio dei conti: una enormità! Tutto gli faceva pagare, anche i sorrisi, anche le moine, a peso d’oro e di sangue.
Balbettò alcune scuse, e fu invano: si trovò sulla strada, di notte, solo e senza più nemmeno il danaro per compiere l’offerta votiva.
Dall’alto le stelle lo videro piangere un pianto amaro, ma inutile, e udirono il suo singhiozzo lontano disperso dai fiati del vento.
Cristiano, è il santo Cardinale Bellarmino che ci suggerisce questo esempio.
Sicut caupones hospitem divertentem peramanter excipiunt sed in discessu severo vultu rigorose erigunt, ita mundus (BELLARM., Conc., 17).
Ogni uomo che viene al mondo è in viaggio verso il santuario eterno ove dovrà consegnare una votiva offerta di opere buone. Ma sul cammino, come un oste col suo albergo, sta il mondo con la sua lusinga.
Guai a quelli che si abbandonano a lui, dimenticando la propria anima, il cammino della virtù, e il cielo che li attende!
Si troveranno alla fine delusi, e con più niente nelle mani: dall’alto le stelle udranno anche il loro inutile singhiozzo dissolversi nella notte eterna.
E l’osteria principale con cui il mondo riesce a distrarre dal fine molti uomini è quella appunto che oggi Gesù ci svela nel santo Vangelo:
« La preoccupazione esagerata per il cibo del corpo, per le vesti della persona, per le case da abitare, per i campi da sfruttare ».
Per queste cose, si dimentica di avere degli obblighi con Dio e con la propria anima; per queste cose ci sono uomini che non trovano più il tempo di pregare, di ascoltare la Messa, di comunicarsi, di istruirsi nella fede, di fare qualche opera buona: il mondo è riuscito a distrarli dall’affare più importante.
Ma ditemi, se v’incogliesse una seria malattia, tutte le vostre sollecitudini d’impegni e d’affari v’impedirebbero di trovare dei giorni, delle settimane di riposo e di cura? Certamente no.
E perché allora vi impediranno di curare la salute della vostra anima che forse è tanto malata?
Ma neanche se aveste tutte le brighe di un Papa nel governo della Chiesa universale, vi sarebbe permesso di trascurare « il Regno di Dio e la sua giustizia! »
Quando Bernardo da Pisa fu eletto, da monaco che era, al sommo pontificato, tanto s’ingolfò nelle occupazioni esteriori che accompagnano questa dignità suprema che sembrava avesse rinunciato alla preghiera e alla cura della propria anima: ma il santo di Chiaravalle, come lo seppe, non dubitò di mandargli a dire che si trovava fuori di strada.
Ma neanche se aveste tutte le brighe di un re nel governo del suo regno, vi sarebbe permesso di trascurare « il Regno di Dio e la sua giustizia! »
Guardate Davide ch’era pure re e guerriero: nel turbinio dei pubblici affari, trovava momenti per ritirarsi e pregare sette volte al giorno.
Septies in die laudem dixi tibi (Salmi, CXVIII, 164).
Ed a mezza notte sorgeva dal suo letto reale e meditava la legge del Signore.
Media nocte surgebam ad confitendum tibi (Salmi, CXVIII, 62).