Il cristianesimo del periodo apostolico “ereditò un fiorente e in un certo senso problematico culto degli angeli…influenzato da certe pratiche ebraiche eterodosse, così come dalla fede pagana nei messaggeri divini”.
Vi si oppose San Paolo: “Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nell’adorazione di angeli, seguendo le proprie pretese, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale” (Colossesi 2,18).
Ancora tre secoli dopo, al sinodo di Laodicea il canone 35 recita: “Non è bene che i cristiani lascino la chiesa di Dio e si abbandonino ad invocare gli angeli e si ritrovino in segrete conventicole, poiché queste cose sono vietate.
Se dunque chiunque fosse sorpreso a dedicarsi a questa segreta idolatria, sia anatema, perché egli ha abbandonato Nostro Signore Gesù Cristo e ha abbracciato l’idolatria”.
Il pericolo di un culto idolatrico e di una sovrapposizione fra le figure dell’arcangelo Michele e di Gesù Cristo, forse particolarmente vivo solo in Frigia e Psidia, si attenuò col tempo e la Chiesa ortodossa trovò il modo di venerare i sette arcangeli senza ulteriori problemi.
Nel sinodo di Roma del 745, infatti, papa Zaccaria dovette intervenire contro Adalberto, vescovo di Magdeburgo, che aveva unito in un’unica preghiera il nome dell’arcangelo Michele con quelli di Uriel, Raguel, Semiel e con i completamente sconosciuti Tubuel, Adimis, Tubuas e Sabaoth, da alcuni considerati nomi di demoni.
Egli, quindi, proibì ogni culto di angeli diverso dalla venerazione e invocazione dei soli arcangeli “biblici” Michele, Gabriele e Raffaele.
Nel decreto Litteris Diei del 6 giugno 1992, il magistero pontificio ha chiarito che “è illecito insegnare e utilizzare nozioni sugli angeli e sugli arcangeli, sui loro nomi personali e sulle loro funzioni particolari, al di fuori di ciò che trova diretto riscontro nella Sacra Scrittura; conseguentemente è proibita ogni forma di consacrazione agli angeli ed ogni altra pratica diversa dalle consuetudini del culto ufficiale.
Tuttavia nella Bibbia chiunque ha modo di leggere e riflettere su quelli descritti in Ezechiele, lasceranno alquanto perplessi o turbati, soprattutto se vengono raffigurati in immagini come ad esempio questa di seguito:
Ezechiele ebbe la prima comunicazione divina circa nel 595/593 a. E. V.. Il luogo è menzionato in Ez 3:15,16: “Giunsi da quelli che erano deportati a Tel-Abib presso il fiume Chebar, e mi fermai dove essi abitavano; e là abitai sette giorni, triste e silenzioso, in mezzo a loro.
Dopo sette giorni, la parola del Signore mi fu rivolta”. “Tel-Abìb” significa “colline delle spighe” ed era il centro di una delle comunità principali degli esuli. Questi esuli, per i loro rapporti interni, avevano potuto nominarsi un numero di anziani che troviamo a volte radunati attorno al profeta per udire da lui le risposte di Dio.
Quella visione lasciò Ezechiele impietrito per “sette giorni, triste e silenzioso” (3:15).
Fonti testo
Wikipedia
Biblistica
Fonte foto copertina
Pravmir