Il libro della Genesi si apre descrivendo cosa c’è prima della creazione: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. E Dio disse…” (Gen 1, 2).
Nella Bibbia il deserto, Dio, nella sua sapienza geniale, ha saputo trasformare questo luogo in un simbolo di salvezza, nell’esperienza intima, mistica, profonda dell’amore, della provvidenza, della tenerezza per l’uomo.
Il deserto fiorisce come un giardino, il silenzio lascia il posto alla voce dello Spirito che porta vita nuova lì dove c’era solo vuoto, buio, desolazione.
Dove la mente vede il deserto, l’esperienza contemplativa svela il seme della vita.
Abitare il deserto della mente, spazzata dai venti e corrosa dalle sabbie, senza difesa, senza volerla edificare, senza avvertire il bisogno del suo esserci.
Il deserto degli archetipi transitori, svela il senso esistenziale, il mirabile disegno e, oltre a questo, l’irriducibile unità dell’insieme.
Nel deserto si rifugiano i profeti, in fuga da chi li perseguita, stanchi della loro missione; così succede al profeta Elia, in fuga dalla furia della regina Gezabele, che si inoltra nel deserto desideroso di morire. E in quel deserto è straordinariamente raggiunto da Dio che lo nutre, gli ridà vigore e lo conduce fino all’Oreb, dove si rivela nel sussurro di una brezza leggera, per consegnargli rinnovata la sua missione profetica.
Nel nostro tempo, in cui c’è desiderio di affetti, relazioni sincere, rispetto, accoglienza, compagnia, il deserto diventa un luogo di transito ed è il simbolo di un cammino spirituale che determina e caratterizza il nostro essere con gli altri, per dare esempio concreto per chi naviga nel buio della sua anima.
Lectio Divina del 13 Dicembre 2023