
Il termine metempsicosi (dal greco antico μετεμψύχωσις metempsicosis, “passaggio delle anime”) intende la trasmigrazione dell’anima o dello spirito vitale dopo la morte in un altro corpo di essere umano, animale o vegetale.
Erodoto riferisce di una credenza nella metempsicosi presso gli Egizi e ritiene che da questi si sia trasmessa ai Greci. Gli storici hanno dimostrato che quanto riportato da questo autore non sia attendibile in quanto non è stata rinvenuta nessuna concezione simile alla metempsicosi nella religione egiziana.
Nell’ambito della filosofia occidentale, Pitagora e la sua scuola sembrano essere stati fra i primi a sostenere la dottrina della reincarnazione o metempsicosi, seppure sulla base di culti orfici preesistenti.
L’uomo secondo i pitagorici è precipitato sulla Terra a causa di una colpa originaria, per via della quale è costretto a trasmigrare da un corpo a un altro, non solo di umani ma anche di piante e animali.
Per liberarsi da questa catena di morti e rinascite occorre ritornare allo stadio di purezza originaria dedicandosi alla contemplazione disinteressata della verità, praticando dei rituali esoterici di iniziazione e di catarsi, di purificazione.
I pitagorici ritenevano che la vita del matematico fosse quella che più si avvicinasse alla condizione libera e divina in cui l’anima si trovava prima della sua caduta.
Nell’orfismoe nella scuola pitagorica la metempsicosi era collegata alla loro cosmologia poiché essi sostenevano che questa avvenisse ciclicamente al compimento di un corso astronomico dell’universo.
Aristotele cita la metempsicosi come un “mito” della scuola pitagorica mentre Platone, il più noto per la sua dottrina della trasmigrazione delle anime, non nomina mai Pitagora ma indica piuttosto Filolao, uno dei membri della scuola pitagorica.
Senofane, in alcuni versi riportati da Diogene Laerzio, allude alla metempsicosi riferendola a un aneddoto con protagonista Pitagora che riconosce in un cane un suo vecchio amico:
«Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, [Pitagora], colmo di compassione, pronunciò queste parole: “Smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce.»
Oltre a questo riferimento lo stesso Diogene Laerzio scrive che Pitagora fu il primo a introdurre presso i Greci la nozione di “anima”, legata nel tempo a vari corpi di esseri viventi.
Empedocle nelle sue Purificazioni riprenderà la dottrina orfico-pitagorica della metempsicosi, sostenendo – sulla scia di Parmenide – che nell’universo nulla si crea e nulla si distrugge, e aggiungendo che tutto si trasforma sulla base del contrasto di due forze soprannaturali, Amore e Odio, le quali determinano l’aggregazione o la disgregazione dei quattro elementi fisici.
Pertanto l’anima è immortale, e la sua nascita e la sua morte in un corpo fisico sono solo aspetti transitori dovuti all’intervento delle due forze cosmiche. L’uscita dal ciclo dipende per ognuno dal comportamento tenuto in vita.
Riappropriandosi della tradizione orfica e pitagorica, Platone fece della reincarnazione, trattata soprattutto nel -Mito di Er- il perno della sua dottrina della conoscenza, basata sul concetto di reminiscenza o anamnesi.
Secondo Platone l’esistenza della reincarnazione è testimoniata dal fatto che le nostre conoscenze del mondo sensibile si basano su forme e modelli matematici che non trovano riscontro in esso, ma sembrano provenire da un luogo al di là del cielo, l’iperuranio, dove il nostro intelletto doveva averli contemplati prima di nascere.
Nel mito del carro e dell’auriga, da lui esposto nel Fedro, egli immagina che l’anima, in seguito alla morte, sia simile a una biga che cerca il più possibile di risalire al cielo iperuranio, dimora delle Idee, per assorbirne la sapienza.
A causa della propria concupiscenza, simboleggiata da un cavallo nero, l’anima è facilmente soggetta a precipitare nuovamente verso il basso, cioè a reincarnarsi.
Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l’Iperuranio per un tempo più lungo rinasceranno come saggi e come filosofi.
La reincarnazione consente secondo Platone di spiegare anche l’innatismo della conoscenza, concezione secondo la quale l’apprendimento consiste propriamente nel ridestarsi di un sapere già presente in forma latente nella nostra anima, ma che era stato dimenticato al momento della nascita ed era perciò inconscio: conoscere significa dunque ricordare. wikipedia.