
L’argomento che andiamo a trattare parte da una interessante domanda di una nostra lettrice, sul perché i giovani di oggi si allontanano dalla Chiesa, già all’età di 13 anni.
Dunque Papa Francesco –nell’aprile 2017– si è rivolto con queste parole ad alcuni ragazzi in procinto di cresimarsi: «La Cresima è il Sacramento dello Spirito Santo, non è il Sacramento dell”‘arrivederci, eh? Dopo la Cresima si deve continuare a venire in Chiesa!».
La frase riferita da Papa Francesco è stata rielaborata da una parte di coloro sono stati intervistati, come una ‘imposizione’, piuttosto che un consiglio. Cioè, quando avrai ricevuto la Cresima, se vorrai continuare, sarai ben accetto, piuttosto che quel ‘si deve continuare a venire in Chiesa’.
Il problema, da quanto emerge nella maggior parte dei giovani intervistati in Italia e nel resto d’Europa, sta proprio nella suddetta frase che viene considerata un -comando- sul cosa devi fare, piuttosto che lasciare quel libero arbitrio nel decidere cosa è meglio o peggio.
Questa situazione, giudicata aberrante dalla gran parte di coloro intervistati, dai 15 ai 30 anni, fornisce la disaffezione verso la chiesa cattolica, ma non sempre nel culto religioso.
Quindi c’è chi ascolta il -comando- nel continuare a frequentare il servizio spirituale religioso, chi lo fa per abitudine e continua ad andare alla messa la domenica, chi per non disattendere gli insegnamenti dei propri genitori partecipa con il corpo, ma non con il cuore.
Abbiamo pertanto dei giovani che partecipano alle funzioni religiose, ai sacramenti, alle catechesi, come spettatori di eventi, ma non convinti di ciò che svolgono, tant’è che, ripetiamo per quelli intervistati, quando avvengono dei fatti nella vita quotidiana e il giovane di turno fa delle domande specifiche, se esse non hanno risposta convincente, esso si allontana dalla fede anche in modo definitivo.
Quel giovane però non è un caso isolato, non siamo al tempo in cui se tale persona si isolava veniva derisa, osteggiata, offesa nella dignità personale per aver deciso di non continuare a partecipare al culto religioso. Questi tempi sono finiti. La Chiesa Cattolica ed Ortodossa lo sanno perfettamente. Ed è inutile -comandare- nel fare se poi quel giovane non ha risposte concrete, documentate, ma anzi riscontra nella stessa comunità altri conoscenti e amici che sono omertosi, opportunisti, vigliacchi, bugiardi, falsi, ipocriti.
Quel giovane deluso dal tutto, entra in chat, nei social, e scrive la sua disavventura, il livore verso tale sacerdote, quel padre spirituale, il tal catechista, e, quindi, trovando terreno fertile, cioè altre migliaia come lui, nel mondo, si sente valorizzato e apprezzato, pertanto diventa un Nones. Una persona che non necessita di affiliarsi ad alcun culto religioso, ad iniziare da quello cattolico.
Nelle interviste sui giovani, nella fascia di età dai 13 ai 30 anni, sono stati individuati tre gruppi nella disaffezione al culto della religione cattolica e ortodossa: il “ferito”, il “vagabondo” e il “dissidente”.
Tutti e tre condividono l’incapacità della Chiesa nel dare quei valori che, nella Bibbia, sono il fondamento di base per coloro devono essere degli esempi da seguire. Anzi riscontrano spesso incoerenza e dabbenaggine da parte di chi, fulcro centrale di insegnamento, diventa oggetto di scarsa fiducia.
Quando accade tale situazione i primi a non saper rispondere alle domande dei figli sono i genitori, anch’essi scettici sulle situazioni in cui la realtà dei fatti quotidiani porgerebbe la possibilità nel riportare le cronache di avvenimenti, storicamente simili e ben documentate nella Bibbia.
Il più delle volte i genitori non conoscono le sacre scritture, non sanno dove cercare la risposta ed anche se il padre spirituale dice nel affidarsi allo Spirito Santo per il discernimento, spesso sono proprio gli stessi genitori increduli di questa -opportunità spirituale-.
Le interviste svolte sui genitori dei figli disaffezionati dal culto religioso cattolico e ortodosso, sono come onde che si infrangono sugli scogli. Il fragore del mare offusca la loro mente, in cui tra il credere e l’avere fede rispondono con frasi del tipo:”Non sono interessato al perché mio figlio è ateo o agnostico. E’ una sua scelta”.
Quando poi in chiesa talvolta incontri qualche madre o padre che accompagna il proprio figlio/a alla Messa o al Catechismo o ad altre attività di culto religioso o comunitario, si osserva dei comportamenti che non sono propriamente detti esemplari.
Questo tipo di situazione non passa inosservato ai loro figli che, nel momento in cui accade un litigio fra i genitori, sono proprio i primi a fare i giudici, chiedendo il perché ed il come mai, e se non c’è risposta, anch’essi ritengono che si può fare, quindi quel libero arbitrio diventa una valida opzione per rispondere:”Ho scelto di essere Ateo perché DIO non è nella vita dei miei genitori”.
I preti, nel contempo, si trovano ad una responsabilità notevole in quanto il loro impegno nel far capire cosa vuol dire appartenere a Dio e non al mondo, viene sempre di più deriso dal fatto che mancano testimoni credibili ed autorevoli. Peraltro non possono sostituirsi ai pedagoghi né agli psicologi, quindi si trovano, nel loro ambito religioso, a restare in un limbo in cui se dire troppo può sconvolgere le menti, se dire poco non c’è evoluzione.
Oggi, con Internet, basta documentarsi per capire che la “vita cattolica” in comunità può essere interessante sino a quando non hai una delusione e, quando accade, se quel problema non ha soluzione concreta, interessa ben poco le informazioni teoriche sulla dottrina teologica.
Spesso anche se c’è la coerenza tra ciò che viene insegnato nelle catechesi, poi non è automaticamente sinonimo di credibilità, perché i giovani osservano e sanno distinguere l’ipocrisia del moralista da colui che ammette nel non essere in grado nel dare risposte. Un esempio in cui ci si imbatte spesso nei giovani è proprio la vita che termina, sulla quale poi non c’è nessuno che ha documentato scientificamente la resurrezione o la reincarnazione.
Il problema del credere, quindi avere fede, sorge nel momento in cui i giovani riscontrano incoerenza sia dai preti (istituzioni religiose) sia nei genitori stessi; raccogliendo il tutto e, condividendolo nei social e nelle chat, si hanno risonanze specifiche con risposte talvolta interessanti ed altre altrettanto poco credibili, ma comunque differenti da quelle conosciute, poiché chi cerca trova e quando la fonte non è più acqua, ma latte, quel nutrimento non lo lasci.
In questo, dicono gli intervistati, la Chiesa Cattolica, come gli altri culti, non hanno alcun potere di rendere l’acqua in latte, perché è un percorso individuale, specificatamente personale, in cui le risposte ricevute da chi ha già passato quel tipo di esperienza e quei nuovi insegnamenti nel aprire la mente aiutano a fare un salto iperbolico in avanti, trovando la soluzione alla tua esistenza in questa vita.
A quel punto, riferiscono una gran parte dei giovani intervistati, non necessiti di rivolgerti ad una entità invisibile la cui opera è in un libro, inesistente nella vita quotidiana, al quale rivolgi le tue preghiere, ma poi in concreto il problema rimane e c’è poi chi dice che avviene in quel modo perché devi fare esperienza, facendo dubitare sul fatto che non ammettere l’evidenza è sinonimo di scarsa credibilità.
Lo stimolo nel approfondire ed acculturarsi però non è nella maggior parte dei giovani, ma già basta quei pochi per condurre il gregge in altri recinti, tant’è che se chiedi alle pecorelle chi è Abramo, vacillano, balbettano, non sanno neanche chi è Isacco, ignorano Giacobbe. Ma questo però a loro poi non interessa, anzi ti dicono perchè gli hai fatto quelle domande ed a cosa servono, poiché la vita quotidiana è più importante delle parabole di un illuminato di quel tempo storico.
Eppure tutto ciò lascia inebetiti chi crede ed ha fede, perché per quei giovani permane il dubbio che quelle sono favole scritte da uomini del tempo passato, quindi non c’è alcun motivo di conoscere oltre ciò aver saputo, peraltro forse anche imposto e, quindi, incolpano i genitori in scelte di cui avrebbero preferito fare in maturità.
Un dato di fatto è che se non c’è il tramandare della cultura religiosa dai genitori ai figli, l’insegnamento di come comportarsi rimane il seguire determinate regole, ma avremo nel futuro molti nones, più di atei e agnostici, perché il non avere una fede di culto religioso sarà per loro: sentirsi liberi da dogmi pre-imposti.