«Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono” (traduzione letterale) o “Io sono colui che è” (traduzione di concetto). Poi disse: “Dirai così ai figli d’Israele: Io-Sono (oppure Colui che è) mi ha mandato da voi”»
Io sono colui che sono (in ebraico: אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה?, ʾehyeh ʾašer ʾehyeh) è la traduzione italiana comune, ma ambigua, della risposta che Dio (אֱלֹהִים nel versetto in lingua originale) diede a Mosè riguardo al nome da presentare agli Israeliti (Esodo 3,13-15).
Questo nome è una perifrasi del famoso Tetragramma biblico, ma anche il nome ufficiale e per eccellenza di Dio, per gli Ebrei e i Cristiani (essendo il “Padre“ della Santissima Trinità).
Hayah significa “esistito/esistette” o “era/fu” in ebraico; “ehyeh” è la prima persona singolare dell’imperfetto e viene usualmente tradotta nelle Bibbie italiane con “Io sono” (o “Io sarò” o “Io mostrerò d’essere”).
Ehyeh asher ehyeh letteralmente si traduce con “Io sarò ciò che sarò”, con le conseguenti implicazioni teologiche e mistiche della tradizione ebraica.
Stando alle regole della grammatica ebraica, la forma verbale utilizzata in ebraico è traducibile col tempo passato, presente e futuro, indicando una verità atemporale, che non nasce, non muta e non muore. Tale è Dio. È quindi stata proposta la traduzione «io sono colui che c’era, che c’è e che ci sarà», cioè «io sono colui che è sempre presente», «io ci sono». Dio si rivela come un Dio personale, (Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe), continuamente presente nella storia accanto all’uomo.
Gli Scolastici utilizzavano la locuzione latina nunc stans, per indicare l’Eterno Presente:
presente a sé stesso: come immutabile coscienza e amore di un essere immutabile,
presente all’altro-da-sé: come amore e coscienza immutabile da e verso il prossimo che diviene Suo figlio.
Tuttavia, nella maggior parte delle Bibbie in italiano, questa frase è resa come Io sono colui che sono.
Ehyeh-Asher-Ehyeh (spesso contratto in italiano come “IO SONO”) è uno dei Sette Nomi di Dio trattati con cura speciale dalla tradizione ebraica medievale.
La frase si trova anche nella letteratura di altre religioni, usata per descrivere l’Essere supremo, generalmente con riferimento al suo uso nel Libro dell’Esodo.
Il tetragramma YHWH è considerato da molti studiosi rabbinici quale derivazione della forma verbale ehyeh.
Nel Medioevo, Dio veniva a volte chiamato I Sette.
I sette nomi del Dio di Israele che dovevano essere trattati con attenzione e cura speciali dagli scribi nel trascriverli erano i seguenti:
Eloah
Elohim (usato sia al singolare che al plurale)
Adonai (“Signore”; lett. “Signore mio”)
Ehyeh Asher Ehyeh
YHWH
El Shaddai
YHWH Tzevaot (“YHWH degli eserciti” — reso Sabaoth nella traslitterazione latina —, ad esempio in 1Sam 4,4).