
La Lectio Divina di Mercoledì 19 Ottobre 2022 ci introduce in alcune letture interessanti sulla messa della Domenica del 23 Ottobre; la prima è dal libro del Siràcide, poi il Salmo 33, la lettera di san Paolo apostolo a Timòteo ed infine il Vangelo.
E’ ben evidente che tra il fariseo ed il Pubblicano, bisogna capire quando e chi viene scelto ed in quale contesto, perché al tempo di Gesù i Farisei erano un gruppo religioso molto stimato all’interno della comunità a motivo della loro adesione rigorosa alla legge di Mosè.
I pubblicani, invece, erano ebrei che collaboravano con l’Impero romano, riscuotendo a loro nome le tasse, e godevano di una fama pessima. Venivano considerati peccatori pubblici.
La parabola inizia evidenziando il fatto che “essere giusto” non è mai una condizione nativa della persona umana, infatti, il cristiano non è mai giusto davanti a Dio.
L’eccessiva sicurezza della propria innocenza, specialmente quando ha come risvolto pratico un atteggiamento giudicante e intollerante verso il prossimo e verso i suoi errori, è qualcosa che dovrebbe far pensare. Questi possono essere Farisei, Scribi, Pubblicani, ecc.
Il cristiano non si configura come un uomo “giusto”, bensì come un uomo riconciliato, perdonato, giustificato da Dio.
Ecco perché questa parabola mostra un “quadretto” tra due modelli: Il fariseo dichiara la verità. Quindi è antipatico.
Il pubblicano, l’esattore delle tasse, è il cosiddetto finto-tonto, è spaesato, confuso nel luogo del culto, tanto che se ne sta in fondo, quasi temesse di disturbare, di essere un estraneo.
Il Fariseo viene deriso nella Bibbia perché a quel tempo era considerato ligio al dovere.
Il pubblicano è ancor peggio del fariseo, è consapevole di essere un peccatore, quindi un abiuro.
Sente il bisogno del cambiamento, di una rinascita e, soprattutto, ha la consapevolezza di non poter pretendere niente da Dio, in quanto affamava il popolo.
Gesù quindi non elogia la vita del pubblicano, pur essendo ebreo come lui, e non disprezza il fariseo.
Gesù sottolinea l’importanza della Giustizia e la fiducia nel far ciò che lui chiede. Entrambi li mette nello stesso piano. Non sono giudicati, al contrario invece di quella logica contorta di taluni cattolici odierni nel vedere il pubblicano migliore del fariseo o viceversa.
E’ interessante rileggere il discorso di Gesù sostituendo scribi, pubblicani e farisei, ormai sono consegnati alla storia, fornendo alla riflessione quanto segue:
“guai a voi preti e politici ipocriti che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e quando lo è diventato lo rendete degno della Geenna (cioè dell’inferno), due volte più di voi” (Mt 23,15).
Oppure, per riprendere la scena di un bel film canadese, “Jesus of Montreal”:
“Non chiamate nessuno padre o maestro, o monsignore o eccellenza o eminenza sulla terra perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste e voi siete tutti fratelli” (cfr. 23,9).
Se si desse veramente ascolto al vangelo anziché brandirlo come arma impropria contro altre persone ed anche culture e religioni, potremmo comprendere che non c’è nessuna idea o ideologia o sacro dogma che può far sentire qualche essere umano meno degno di altri o meno amato da Dio o che possa essere contro natura, perché già per il fatto di esistere significa che è un dono prezioso della natura ovvero semplicemente il riflesso dell’infinità di Dio.
Imparando da questo, soprattutto studiando bene la Bibbia ove chi punta il dito al prossimo ne ha tre contro, prendiamo un pratico esempio della grande letteratura russa dell’Ottocento cioè Nikolaj Vasil’evič Gogol’ (1809-1852).
Egli, considerato il “Poeta del reale”, come venne definito già dai suoi contemporanei, nei suoi racconti e romanzi, maestro nel descrivere con toni ora ironici, ora disincantati, grotteschi o drammatici la società del suo tempo, una società statica, ipocrita e attraversata da profonde diseguaglianze.
Gogol ci parla e colpisce perché racconta una parte di noi e della nostra limitatezza. Non dobbiamo allora aver paura di questo lato oscuro se vogliamo procedere nel nostro cammino, lasciare l’Inferno, attraversare il Purgatorio e trovare il Paradiso:
“Voi temete lo sguardo che scruta in profondità, voi stessi avete timore di puntare uno sguardo profondo su qualcosa, amate sfiorare tutto con occhi distratti. (…) E chi di voi, pieno di umiltà cristiana, non a voce alta ma in silenzio, in solitudine, negli attimi dei colloqui solitari con sé stesso, affonderà nell’interno dell’anima sua un grave interrogativo: Ma non c’è forse, anche in me, una qualche parte di quella meschinità che addito al mio prossimo, pubblicano, fariseo, scriba ?”