
In questa Lectio Divina del 5 Ottobre parliamo di un messaggio ben preciso: gli impuri, gli eretici, gli emarginati non vengono allontanati da Dio, ma giungono a lui in modo più autentico rispetto agli altri. “Fa, o Signore, che la comunità cristiana non emargini i lebbrosi, ma li tocchi e li risani”.
Di questi tempi ci sono numerose persone cattoliche, ma anche di altre religioni e spiritualità, che non guardano gli emarginati sino a quando, in modo ipocrita ed opportunista, diventano un guadagno per le loro tasche già grondanti di sterco raccattato altrove e chissà in quale altro modo.
Questi numerosi ipocriti cattolici, rispettosi delle teorie tradizionali, ma ben lungi pronti ad essere protagonisti nel donare se stessi agli altri, probabilmente attuano quanto accadeva al tempo di Gesù:
“Quattro categorie di persone erano equiparate a un morto: il povero, il lebbroso, il cieco e colui che è senza figli. I lebbrosi non potevano avvicinarsi ai villaggi e i luoghi in cui abitavano erano considerati impuri, come i cimiteri.” Avete letto bene…i cimiteri erano considerati luoghi impuri per quella feccia del tempo passato!
Nella Lettura (2 Re 5,14-17) che vi porgiamo alla vostra riflessione, troverete una particolare situazione:
In quei giorni, Naaman Siro, scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era guarito.
Tornò con tutto il seguito dall’uomo di Dio; entrò e si presentò a lui dicendo: “Ebbene, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele”. Ora accetta un dono dal tuo servo”. Quegli disse: “Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò”. Nàaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.
Allora Nàaman disse: “Se è no, almeno sia permesso al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore.
Il dialogo fra Eliseo e Nàaman però non è terminato. Si rende conto che ci sono delle difficoltà.
Nella mia terra – dice – io ho l’incombenza di accompagnare il re durante le cerimonie pagane nel tempio di Rimmòn. Quando si inginocchia davanti alla statua del dio, il sovrano si appoggia al mio braccio e anch’io mi devo prostrare. Tornando a Damasco riprenderò questo servizio e, anche se a malincuore, dovrò compiere un gesto di idolatria. Insomma, so che commetterò un peccato, ma è inevitabile.
>> Eliseo è un pastore d’anime, ma non si comporta nel redarguire Naaman se pur sa di trovarsi di fronte a un uomo in difficoltà.
In pratica, ai giorni nostri, attuali, chi si impegna in favore della propria comunità deve essere modo sincero, reale e concreto, non ipocrita, meschino, opportunista.
Colui che ha un ruolo dentro una comunità deve coltivare la serenità e la gioia, trasmettere il messaggio di amore e di pace, dimostrando di aiutare i fratelli e le sorelle affinché portano frutti abbondanti.
E’ ben ovvio che le parabole sono ricche di significati simbolici, quindi servono per insegnare come comportarsi in un specifico modo piuttosto che altro.
Talvolta ad esempio tra i preti troviamo anche quelli che, se vien loro ricordato assenze e mancanze, non solo diventano dei veri pavoni, ma son ben felici di andarsene altrove, probabilmente a seminare altri danni. Invece le Arcidiocesi dovrebbero mantenere questi preti al loro posto, facendogli pagare di loro tasca i danni provocati alla comunità.
Quanto sopra cozza con l’obiettivo primario di un Dio che ha creato un solo mondo e non due, con doppi sensi o peggio a senso unico.
Un doppio mondo per i buoni e l’altro per i malvagi.
Invece è un unico mondo in cui DIO chiama a vivere insieme tutti i suoi figli peccatori, salvati dal suo amore.
Il messaggio sulla lebbra fa capire che c’è orgoglio nelle persone, quando sono in una posizione di privilegio ed hanno qualcosa in più del suo prossimo.
Quindi ritengono di non doverlo aiutare, non ammettono di essere come l’altro/a, presumono di essere migliori, quindi disprezzano, odiano, combattono.
Gesù non ha paura di essere considerato un peccatore, non è un “fariseo” che si allontana da chi è impuro.
Lo scrive l’evangelista Marco il quale nota che, dopo aver steso la mano ed curato il lebbroso sapeva di non poter più entrare pubblicamente in una città, ma a lui non interessavano i cosiddetti finti -puri- .
La condanna di quella pseudo-spiritualità individualistica e intimistica che predicano alcuni preti è una scarsa ricerca della “salvezza nella propria anima”, ma per chi riesce a comprenderne il significato profondo delle sacre scritture sa perfettamente che l’amore di comunione concreta si raggiunge soltanto assieme ai fratelli e sorelle.
Vi ricordate alcuni personaggi della Bibbia solidali con il loro popolo ?
Per esempio:
Azaria, il giovane dalla vita integra ed esemplare, prega: “Noi abbiamo peccato (non dice: “essi hanno peccato”), noi abbiamo agito da iniqui, allontanandoci da te, abbiamo mancato in ogni modo, non abbiamo fatto quanto ci avevi ordinato per il nostro bene” (Dan 3,29-30);
Mosè si rivolge al Signore dicendo: “Perdona il loro peccato, se no cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32);
Paolo arriva a pronunciare una frase paradossale: “Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3).
Ricordatevi che nemmeno Dio può essere felice finché anche l’ultimo degli uomini non sia liberato dalla “lebbra” che lo tiene incatenato e lontano da lui e dai fratelli e sorelle.