Nei due vangeli, è Gesù che insegna il Padre Nostro ai suoi discepoli per insegnar loro il modo corretto di pregare. Si deve ricordare che la religiosità ebraica del tempo era molto rigida e aveva riti e orazioni molto precisi.
La relazione con Dio era qualcosa di molto delicato, e per questo i discepoli chiesero a Gesù di indicar loro il modo corretto di rivolgersi a Lui, evidenziando così la completa fiducia che riponevano nel suo insegnamento.
Con la preghiera che insegnò loro, Gesù cercò di rompere con l’attitudine che tendeva ad allontanare l’uomo da Dio, e trovò nella semplicità lo strumento che facilitasse il dialogo con Dio, che Gesù chiamò ed insegnò a chiamare “Padre”.
In altri passi del Nuovo Testamento Gesù chiama Dio anche con un più confidenziale e meno tradizionale ebraico Abbà, citato per la sua importanza anche nei testi tradotti in italiano, e che può essere reso col nostro papà.
La versione di Matteo (Mt 6,9-13[11]) è di tenore più ebraico. La preghiera appare nel contesto del Discorso della Montagna: Gesù aveva già iniziato la sua vita pubblica e, per il fatto di essere un predicatore già conosciuto, raccolse molta gente disposta a ricevere i suoi insegnamenti. Decise dunque di salire su un monte perché tutti potessero sentirlo, e da qui pronunciò, secondo Matteo, un discorso che riunisce molti dei passaggi salienti di tutta la sua predicazione: le beatitudini (Mt 5,1-12), la comparazione dei discepoli con la luce del mondo (Mt 5,14-16[13]), le sue posizioni sulla Legge di Mosè (Mt 5,17-20) e i suoi commenti ai comandamenti (Mt 5,21-37).
Il contesto in cui Gesù espose il Padre Nostro è in risposta a coloro – sia giudei sia gentili – che hanno convertito la preghiera, come anche la carità, in un atto meramente esteriore (Mt 6,5-8). Gesù raccomanda di pregare in segreto e con semplicità, ed offre il Padre Nostro ai suoi come esempio di preghiera con la quale rivolgersi al Padre.
Racconto di Luca
In Luca il testo della preghiera viene inserito in un contesto diverso: l’evangelista racconta infatti (cf. Lc 11,1-4) che, dopo che Gesù ebbe finito di pregare in un luogo, uno dei suoi discepoli gli chiese di insegnar loro a pregare, ed Egli dunque pronunciò il Padre Nostro.
Confronto delle versioni
Luca racconta che uno dei discepoli chiese a Gesù di insegnar loro a pregare subito dopo un suo momento di preghiera personale. In Matteo non si legge della richiesta del discepolo, ma fu iniziativa di Cristo l’insegnamento del Padre Nostro.
Le differenze fra le due versioni sono le seguenti:
L’invocazione: Luca invoca Dio solo come “Padre”, mentre Matteo come “Padre nostro che sei nei cieli”;
In Luca non c’è la richiesta della realizzazione della volontà di Dio sulla terra come in cielo;
In Luca non si menziona l’invocazione finale “liberaci dal male / Maligno”.
Luca usa “peccati” invece del più giuridico “debiti”.
La concordanza è per tutte le traduzioni fra Luca 11,1-4 e Matteo 6,9-15.
Il verso “eccedente” in Matteo 6,13, non è presente nelle altre traduzioni della Bibbia (e nemmeno nel testo greco), e in ogni caso è una preghiera che si pronuncia durante la Santa Messa. Le altre traduzioni, rendono Matteo 6:14 con un >, dove peccato è sinonimo di debito con Dio, come nel testo di Luca.
Lo sfondo dei due racconti è lo stesso: Gesù mostra alla sua gente qual è la forma corretta di rivolgersi a Dio. Matteo presenta Gesù mentre parla alle folle, mentre Luca riferisce la preghiera in un secondo momento, dove Gesù risponde «ad uno dei suoi discepoli, [..] dicendo loro» (Luca 11,1-2), parlando comunque a una pluralità di persone presenti.
Ipotesi sulle differenze fra Matteo e Luca
Vi sono tre ipotesi sulle differenze fra i racconti del Padre Nostro che ci rendono i due vangeli. Se si assume che Gesù abbia pronunciato una sola volta il Padre Nostro, si conclude che uno dei due vangeli è più fedele ai fatti, e l’altro un po’ meno:
se il testo di Luca fosse quello più vicino alle parole di Gesù, significherebbe che, al momento di trasmetterle, in alcuni casi si sarebbero aggiunte piccole perifrasi, pervenendo così alla versione di Matteo;
se fosse il testo di Matteo quello più fedele al discorso originale, allora i cristiani abbreviarono, nella tradizione raccolta da Luca, la preghiera, verosimilmente per dimenticanza.
La terza ipotesi presume che Gesù avesse pronunciato in più occasioni il Padre Nostro:
la preghiera era un elemento fondamentale per Gesù, e quindi molto probabilmente ripeté molte volte il Padre Nostro, anche per favorirne l’apprendimento da parte dei suoi discepoli. Matteo e Luca avrebbero raccolto questa orazione in momenti diversi.
In effetti, le differenze fra le due versioni del Padre Nostro sono piuttosto marginali: la Chiesa primitiva optò per il testo di Matteo, probabilmente perché più adorno e bilanciato. La differenza fra le due versioni può altresì indicare che Gesù non volesse suggerire una preghiera da recitare a memoria, ma un modello da seguire rivolgendosi al Padre.
Nella celebrazione eucaristica secondo il messale romano di Paolo VI, il Padre Nostro viene recitato dal celebrante e dall’assemblea dopo la preghiera Eucaristica e viene preceduta dalla formula, letta o cantata dal celebrante, «Obbedienti alla parola del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire:» o da altre formule contenute nel Messale. Nella messa solenne può essere sia Cantato in italiano che in latino, accompagnato dall’organo oppure a cappella.
Nel rito tradizionale della Messa tridentina, il Pater Noster viene sempre dopo la preghiera eucaristica. Nella messa solenne viene cantato o recitato dal solo celebrante fino a tentatiónem; nella messa bassa l’assemblea può recitarlo insieme al sacerdote. Questa facoltà prima dell’edizione del Messale romanum del 1962 era stata concessa per indulto ad alcuni luoghi, tra cui tutta la Francia, mentre non era prevista dal Messale.
Questa preghiera ha un largo impiego sia nella preghiera privata sia nella preghiera pubblica delle Chiese cristiane, dove viene recitata o cantata coralmente. Il canto gregoriano la presenta in una melodia probabilmente molto antica.
I cattolici di rito latino e di rito bizantino usano recitarla o cantarla durante la Messa, dopo la preghiera eucaristica. Nella liturgia delle ore viene recitata nelle lodi mattutine e nei vespri. Nel Rosario viene anteposta a ogni decina di Ave Maria. Ricorre poi nella recita di innumerevoli devozioni, talvolta accompagnata da un Ave Maria e da un Gloria.
Alcuni ordini religiosi hanno introdotto delle innovazioni nella recita del Padre Nostro. L’ordine dei ricostruttori nella Preghiera è solito celebrare il Padre Nostro durante la Messa con pause di silenzio di alcuni secondi, per separare e sottolineare i punti più importanti della preghiera. Altra innovazione è la recita del Padre nostro tenendosi per mano, come nelle Agape cristiana.
Di seguito il Padre Nostro in uso nella liturgia cattolica.
Padre nostro, che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Versione originale in latino.
Pater noster, qui es in caelis,
sanctificetur nomen tuum,
adveniat regnum tuum,
fiat voluntas tua,
sicut in caelo, et in terra.
Panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne inducas nos in tentationem,
sed libera nos a Malo.