
I giovani verso la preghiera è qualcosa di completamente diverso dall’istruire alle catechesi a loro dedicate poiché bisogna introdurli fornendo loro una serie di informazioni metodologiche o spirituali.
Si tratta infatti di considerare il giovane nella sua interezza, facendogli vivere un’esperienza affettiva, del corpo e dello spirito, della parola e del silenzio, delle immagini e dei canti, secondo la logica non del discorso, ma di un «apprendistato per immersione», ossia di una full immersion nella preghiera di una comunità che si riunisce per lodare il Signore.
Infatti, «i giovani vogliono toccare con le loro mani, […] si fidano solo della loro esperienza» personale e, pertanto, questo è il tempo favorevole per far sperimentare e gustare la bellezza della liturgia, del canto, del silenzio, del respiro che ritma i tempi dell’assemblea che prega.
In tutte le culture cantare insieme è un modo efficace per unire le persone; nella liturgia i canti non solo possono suscitare un clima di gioia, di festa, di comunione, ma anche toccare le fibre del cuore risvegliando lo stupore d’esistere, la scoperta del proprio mistero, il desiderio di andare oltre se stessi.
Poco alla volta, le parole dei ritornelli liturgici si sedimentano nell’interiorità e, nella logica del seme evangelico, sprigionano la loro forza, pennellando intuizioni, scolpendo decisioni, tracciando percorsi di vita.
I canti liturgici possono essere una prima esperienza di meditazione, di attenzione a parole che suscitano un’eco interiore, una risonanza nell’anima. Nel silenzio si può scoprire che la preghiera è anzitutto ascolto, accoglienza della Parola con cui Dio parla all’interno della nostra coscienza, nel più intimo del nostro cuore, risvegliandoci e illuminandoci.
Lasciandosi trasportare dalle note dei canti, si scopre che la preghiera non è il frutto di uno sforzo volontaristico, ma è apertura ad un Altro che ci precede e abita già la nostra intimità, abbandono ad un Dio da lasciar pregare in sé.
Fonte
note di pastorale giovanile