La creazione, tuttavia, di un giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica, quindi non può essere incarico immediato della Chiesa.
La dottrina sociale cattolica non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato, ma semplicemente purificare ed illuminare la ragione, offrendo il proprio contributo alla formazione delle coscienze, affinché le vere esigenze della giustizia possano essere percepite, riconosciute e poi anche realizzate.
Tuttavia non c’è nessun ordinamento statale che, per quanto giusto, possa rendere superfluo il servizio dell’amore.
Lo Stato che vuole provvedere a tutto diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare il contributo essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo.
Nei nostri tempi, un positivo effetto collaterale della globalizzazione si manifesta nel fatto che la sollecitudine per il prossimo, superando i confini delle comunità nazionali, tende ad allargare i suoi orizzonti al mondo intero.
Le strutture dello Stato e le associazioni umanitarie assecondano in vari modi la solidarietà espressa dalla società civile: si sono così formate molteplici organizzazioni con scopi caritativi e filantropici.
Anche nella Chiesa cattolica e in altre Comunità ecclesiali sono sorte nuove forme di attività caritativa. Tra tutte queste istanze è auspicabile che si stabilisca una collaborazione fruttuosa.
Naturalmente è importante che l’attività caritativa della Chiesa non perda la propria identità dissolvendosi nella comune organizzazione assistenziale e diventandone una semplice variante, ma mantenga tutto lo splendore dell’essenza della carità cristiana ed ecclesiale. Perciò:
– L’attività caritativa cristiana, oltre che sulla competenza professionale, deve basarsi sull’esperienza di un incontro personale con Cristo, il cui amore ha toccato il cuore del credente suscitando in lui l’amore per il prossimo.
– L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente.
– L’attività caritativa cristiana, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. L’inno alla carità di San Paolo (cfr 1 Cor 13) deve essere la Magna Carta dell’intero servizio ecclesiale per proteggerlo dal rischio di degradare in puro attivismo.
In questo contesto, e di fronte all’incombente secolarismo che può condizionare anche molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo, bisogna riaffermare l’importanza della preghiera.
Il contatto vivo con Cristo evita che l’esperienza della smisuratezza del bisogno e dei limiti del proprio operare possano, da un lato, spingere l’operatore nell’ideologia che pretende di fare ora quello che Dio, a quanto pare, non consegue o, dall’altro lato, diventare tentazione a cedere all’inerzia e alla rassegnazione.
Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione sembra spingere unicamente all’azione, né pretende di cambiare o di correggere i piani di Dio, ma cerca – sull’esempio di Maria e dei Santi – di attingere in Dio la luce e la forza dell’amore che vince ogni oscurità ed egoismo presenti nel mondo.