Nella notte tra il 12 e il 13 giugno del 1805, nel palazzo del duca di Carcaci presso Catania, Giovanni Battista Tommasi, gran maestro dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, dopo aver nominato suo luogotenente il balì Innigo Maria Guevara Suardo, esalò l’ultimo respiro. Tommasi era stato eletto poco più di due anni prima con motu proprio da papa Pio VII (9 febbraio 1803), con istruzione del sommo pontefice che: “non si sarebbe dovuto troppo indagare se in quell’atto fossero stati considerati i diritti della Sovranità Magistrale dell’Ordine e quelli del suo Capitolo Generale o se tutte le forme e tutte le leggi statutarie fossero state rispettate”.
Terminate le onoranze funebri del Tommasi, secondo gli antichi statuti dell’Ordine il successore avrebbe dovuto essere eletto entro tre giorni dal suo decesso; pertanto, il 15 giugno 1805 i membri del consiglio del priorato di Messina si riunirono nella chiesa di Santa Maria di Nuovaluce in Catania per partecipare al suffragio che avrebbe nominato il nuovo gran maestro. Presiedette la consulta, secondo le norme, il luogotenente Innigo Maria Guevara Suardo.
Quanto dall’ ora in poi accadde nel gran priorato di Messina, giustifica pienamente tutti quegli storici e giuristi che sempre hanno negato la continuità storica del SMOM dall’originale Ordine degli Ospitalieri; le deroghe agli statuti e alle consuetudini gerosolimitane, divennero usuale prassi; quel giorno Guevara Suardo e il solo consiglio in Catania, asserviti a Napoleone e alla Santa Sede, promulgarono un decreto tramite il quale diedero incontestabilmente vita ad un nuovo Ordine di Malta.
Adducendo la presunta impossibilità a consultare gli altri gran priorati e priorati dell’Ordine (che come continuamente vedremo, non fu assolutamente vero), i cavalieri “siciliani” si arrogarono il diritto di eleggere essi soli il nuovo gran maestro, autoescludendosi, di fatto, dall’Ordine primigenio e dando origine ad una nuova branca, esclusivamente cattolica e posta sotto l’autorità della Santa Sede…
Come dimostra il decreto del 16 giugno 1805, con il quale fu stabilito che il sultato del voto dovesse ricevere effettivamente l’approvazione pontificia prima che il nuovo gran maestro potesse esercitare le proprie funzioni, cosa questa che causerà conflitti a dismisura.
La consulta “siciliana”, riunitasi il 17 giugno e pomposamente detta “Consiglio di Stato”, era composta dai soli trentasei cavalieri presenti sull’isola (mentre a quel tempo, nella sola Russia, erano presenti 198 membri) ed espresse 22 preferenze per il balì marchese Giuseppe Caracciolo di Sant’Eramo, 9 voti per il commendatore Antonio Miari e 5 per il luogotenente Innigo Maria Guevara Suardo. In conseguenza del verdetto, il balì Caracciolo fu proclamato “candidato” al magistero.
Venuto a conoscenza del risultato, Pierre David, incaricato d’Affari di Francia presso il defunto Giovanni Battista Tommasi, si affrettò ad informare il ministro Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, a Parigi, che in Catania, un’assemblea di soli trentasei cavalieri, senza consultare le altre Lingue dell’Ordine e senza conoscere le intenzioni delle potenze europee, aveva eletto il balì Caracciolo quale candidato al magistero.
Nella lettera aggiunse che il marchese Caracciolo, napoletano, era molto devoto alla propria corte e nutriva spiccate simpatie in favore dell’Inghilterra, della quale, era possibile affermare, che fosse un vero fanatico.
Il 25 luglio il de Talleyrand rispose a David di avere già informato a questo proposito il cardinale Joseph Fesch, zio di Napoleone e che d’altronde era più che certo che il pontefice non si sarebbe di certo affrettato a convalidare tale nomina… E non si sbagliava!
Nel frattempo, il balì Trotti e il commendatore de Guron, partiti da Catania il 19 giugno, erano giunti a Roma il 9 luglio, recando al Santo Padre la richiesta di approvazione della suddetta nomina. Come supposto dal Talleyrand, la delegazione siciliana fu ricevuta solamente due giorni dopo da Pio VII, il quale, protestando il proprio vivo interesse per l’Ordine, dichiarò ai due deputati che gravi ragioni d’ ordine politico lo obbligavano a differire, almeno per qualche tempo, la desiderata ratifica papale.
In una nuova udienza pontificia del 13 agosto, alla quale fu presente questa volta anche il balì Buzi, ministro dell’Ordine a Roma, la delegazione catanese si sentì ribadire dal Santo Padre che egli non aveva personalmente alcuna obiezione da opporre alla scelta del balì Caracciolo ma che in considerazione delle circostanze politiche e nell’interesse dell’Ordine stesso la conferma di quella elezione richiedeva serie riflessioni.
Informato dal cardinale Fesch della predisposizione di Pio VII verso il Caracciolo, il 30 agosto il de Talleyrand scrisse a Roma, dichiarando che l’imperatore Napoleone si opponeva nella maniera più decisa a quella nomina: il signor Caracciolo non poteva:
“sotto alcuna forma, pervenire al magistero di Malta”;
Talleyrand aggiunse, inoltre, che la scelta di un gran maestro poteva benissimo essere differita sino a quando egli sarebbe stato in grado di far conoscere le disposizioni definitive dell’imperatore e che l’attuale
luogotenente Guevara Suardo, nominato dallo stesso Tommasi, sarebbe stato più che sufficiente ad espletare le funzioni di governo.
Ma se la Francia boicottava l’ elezione di Caracciolo, la Russia agiva attivamente in suo favore (siamo alla vigilia della battaglia di Austerlitz). Il 13 agosto il commendatore de Maisonneuve, incaricato d’affari a San Pietroburgo, scrisse che lo zar Alessandro si “degnava”
di approvare la nomina del nuovo gran maestro, ma che per la salvezza dell’Ordine: “era indispensabile che il Consiglio lo dotasse appieno anche dei suoi poteri, al fine di prevenire tutti gli ostacoli esterni”.
Fine prima parte.
Ancora più deciso il commento del ministro russo a Napoli de Tatischeff, che stupito dei tentennamenti del pontefice, affermò che se la Francia non avesse dato il suo assenso, allora se ne sarebbe potuto benissimo
fare a meno. Forte dell’appoggio di Russia e Prussia, il partito dei favorevoli al marchese Caracciolo (22 cavalieri su 36, quasi i due terzi del gran priorato di Messina) non fece mistero, in caso di boicottaggio del proprio favorito, di essere pronto a riunirsi ai confratelli di San Pietroburgo, facendo nuovamente di quella città l’unico epicentro dell’Ordine.
Le potenze coalizzate e la Prussia erano lontane da Roma, ma i Francesi no. Il 24 settembre il cardinale Ercole Consalvi, segretario di stato del Vaticano, informò i due inviati di Catania che entro pochi giorni papa Pio VII avrebbe comunicato la propria decisione, che in realtà egli già bene conosceva: il luogotenente Guevara Suardo (come desiderava Napoleone)
sarebbe rimasto al timone dell’Ordine e a questo scopo il papa gli avrebbe concesso i poteri strettamente necessari.
Conosciuta la disposizione del sommo pontefice, il partito di Caracciolo si adoperò per far riconoscere al loro favorito almeno il titolo di reggente dell’Ordine ma ogni manovra fu vana, poiché il 30 settembre, ancora il cardinale Consalvi mostrò loro una nota ministeriale consegnatagli dal cardinale Fesch, ambasciatore di Francia in nome dell’imperatore e re, la quale conteneva tre articoli:
primo, l’esclusione dal magistero del candidato Caracciolo;
secondo, un’ intimazione a non procedere ad alcuna nuova elezione;
terzo, di mantenere nelle sue funzioni il luogotenente nominato dal defunto gran maestro Tommasi.
Il 20 novembre successivo, quasi due mesi dopo l’incontro con il cardinale Consalvi, Guevara Suardo e tutti i cavalieri in Sicilia decisero unanimemente di ringraziare il papa per il breve di conferma alla luogotenenza, ma lo supplicarono di confermare Giuseppe Caracciolo di Sant’Eramo quale nuovo gran maestro.
Il 5 dicembre 1805, tre giorni dopo il trionfo di Napoleone ad Austerlitz, Guevara Suardo informò l’imperatore Bonaparte che la Santa Sede lo aveva confermato nella sua dignità di luogotenente del gran magistero e a riprova, inviava la lettera e copia della bolla di Pio VII emesse al riguardo, direttamente al de Talleyrand.
FINE PRIMA PARTE
.^.
.^.