Il titulus crucis è l’iscrizione, riportata dai quattro vangeli canonici, che sarebbe stata apposta sopra la croce di Gesù, quando egli fu crocifisso, per indicare la motivazione della condanna. L’esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano. Il titulus identifica anche una reliquia conservata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e costituita da una tavola di legno di noce, che secondo la tradizione sarebbe il cartiglio originario infisso sopra la croce. Il legno, ritrovato in una nicchia nel 1492 durante lavori di conservazione condotti nella chiesa, reca una parte di un’iscrizione (presumibilmente, ma senza alcuna certezza, frutto di uno smembramento) in caratteri compatibili con quelli del I secolo, da destra a sinistra (compresi i righi in greco e latino), in tre lingue diverse: ebraico, greco e latino. L’ordine appare diverso da quello riferito da Giovanni (ebraico, latino e greco). Il manufatto è stato datato attraverso un’analisi al carbonio-14 al X-XII secolo. Nelle rappresentazioni artistiche della crocifissione si riporta tradizionalmente come titulus le sole quattro lettere INRI, iniziali dell’espressione latina “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum” (letteralmente, “Gesù il Nazareno, Re dei Giudei”), che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni. Similmente sui crocifissi delle chiese ortodosse l’iscrizione ha le lettere INBI, utilizzando il testo greco equivalente (“Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων”).
Secondo i vangeli, in realtà, il cartiglio apposto sulla croce riportava come motivo della condanna: “Questi è Gesù, il re dei Giudei” (Matteo 27,37 e Luca 23,38) oppure “Gesù Nazareno, re dei Giudei”, secondo il Vangelo secondo Giovanni (19,19); tale vangelo aggiunge che era scritta in ebraico, latino e greco (19,20).
Inoltre lo stesso vangelo afferma che, al leggerlo, i capi dei Giudei si recarono da Ponzio Pilato per chiedere che venisse corretto: secondo loro il titulus non doveva affermare che Gesù “era” il re dei giudei, ma che si era autoproclamato tale. Pilato rispose Quod scripsi, scripsi, e si rifiutò di modificare la scritta (Giovanni 19,21-22).
Nel XX secolo un erudito ebreo, Schalom Ben-Chorin, avanzò l’ipotesi che la scritta ebraica fosse: “Yeshua haNotzri (u)Melech haYehudim”, cioè letteralmente: “Gesù il Nazareno e il Re dei Giudei”. In tal caso le iniziali delle quattro parole corrisponderebbero esattamente con il tetragramma biblico, il nome impronunciabile di Dio, motivando con maggior forza le proteste degli ebrei[1].
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