Il termine, derivato dall’inglese prox(imity) «prossimità», probabilmente composto col suffisso -emics come per phonemics «fonemica» e simili, è stato introdotto e coniato dall’antropologo Edward T. Hall nel 1963 per indicare lo studio delle relazioni di vicinanza nella comunicazione. Nel libro La dimensione nascosta Edward Hall osservò che la distanza alla quale ci si sente a proprio agio con le altre persone vicine dipende dalla propria cultura: i sauditi, i norvegesi, gli italiani e i giapponesi hanno infatti diverse concezioni di vicinanza.
Hall ha osservato che la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica, ha definito e misurato quindi quattro “zone” interpersonali:
La distanza intima (0-45 cm).
La distanza personale (45–120 cm) per l’interazione tra amici.
La distanza sociale (1,2-3,5 metri) per la comunicazione tra conoscenti o il rapporto insegnante-allievo.
La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.
Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove la distanza che gli appartenenti alle diverse caste devono mantenere fra di loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa (paria) incontrano i bramini, la casta più elevata, debbono tenersi a una distanza di 39 metri.
Altra differenza è quella tra i sessi, i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece le femmine di fronte.
Particolare rilevanza ha acquistato anche la prossemica dell’ascensore: ad esempio gli europei in ascensore si pongono a cerchio con la schiena appoggiata alle pareti, mentre gli americani si pongono in fila con la faccia rivolta alla porta.
Interessante è pure la prossemica degli ecclesiastici, che chiamando “figli” le persone che incontrano, accorciano la distanza relazionale e, di conseguenza, quella spaziale.