Miryàm con il parto perse la verginità. Lo afferma chiaramente Tertulliano: “Virgo quantum a viro non virgo quantum a partu [vergine quanto all’uomo, ma non vergine quanto al parto]”. – De carne Christi, 23.
Nei testi apocrifi (come il cosiddetto Protovangelo di Giacomo (capitoli 19/20) – che si impose ai cattolici la credenza di Miryàm sempre vergine. Secondo questi scritti, due levatrici esaminano Miryàm e ne constatano stupite la persistente verginità anche dopo il parto. Questo episodio è pure ricordato da Clemente Alessandrino (Stromata VII, 16,93).
La Bibbia attesta la verginità di Miryàm solo fino al parto, non possiamo che concludere che il parto avvenne secondo la normale legge della natura.
L’idea della perpetua verginità di Miryàm è stata difesa proprio dai cosiddetti “padri della Chiesa” per sostenere la vita cenobitica, e cioè Ambrogio e Girolamo.
Miryàm, madre di Yeshùa, non poteva essere da meno di queste vergini, per cui si dovette abbinare al suo matrimonio con Giuseppe la sua perpetua verginità sia nel parto che dopo.
Questa idea della verginità di Miryàm era stata respinta da Tertullinao (3° secolo); dal vescovo Bonoso di Sardica, da Elvidio, dal monaco Gioviniano di Roma, dal presbitero Vigilanzio (4° secolo).
Divenne dogma di fede solo nel 7° secolo con la decisione del Concilio Lateranense tenuto nel 649, sotto la guida del vescovo romano Martino I.
Leggiamo in Matteo:
“Egli non la conobbe, finché ella ebbe partorito il suo figlio primogenito, al quale pose nome Gesù”. – Mt 1:25, ND.
Va ricordato intanto che qui “conoscere” è un eufemismo biblico usato molte volte nella Scrittura per designare l’unione coniugale tra marito e moglie (cfr. Gn 4:1; 1Sam 1:19). Infatti, la Nuova Riveduta traduce:
“[Giuseppe] non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio”. – Mt 1:25.
I cattolici, vincolati come sono al dogma della perpetua verginità di Miryàm, si sono illusi di aver tradotto quella parola finché per -ingannare se stessi- sulla nascita di Gesù. Da ciò si evince quanto segue: “E senza che egli la conoscesse, ella partorì un figlio a cui pose nome Gesù” (Mt 1:25, Sacra Bibbia tradotta dai testi originali, a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Firenze, Salani, 1961, pag. 1778). Così anche Robaldo e Tintori.
Giuseppe “non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio”.
Dobbiamo dire che non è stato trovato nemmeno un passo biblico a sostegno della perpetua verginità di Miryàm.
Nella Bibbia il “finché” indica sempre un mutamento di situazione al termine del periodo indicato.
Perché si dovrebbe fare un’eccezione (non provata) nel caso di Giuseppe?
Le interpretazioni proposte dai cattolici sono una deformazione del senso biblico.
Le loro esegesi sono imposte dal dogma cattolico. Dovrebbe essere invece, casomai, la corretta esegesi a imporre il dogma.
Stando alla Scrittura, dobbiamo concludere che dopo il periodo di impurità legale Giuseppe ebbe normali rapporti coniugali con Miryàm.
Nel periodo di impurità legale (sette giorni dopo il parto, in caso di nascita di un maschio) erano esclusi i rapporti sessuali (Lv 12:2,5;19:19).
Perché mai dopo quel periodo Giuseppe e Miryàm non avrebbero dovuto averne? Erano sposati.
Avevano la benedizione di Dio.
Erano fedeli alla Legge divina e credevano nelle indicazioni di Dio per i coniugi: “Saranno una stessa carne”. – Gn 2:24.
Con Yeshùa possiamo dire: “Quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. – Mt 19:6.
Miryàm, “benedetta fra le donne”!
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