Sebbene la vita di Gesù sia stata oggetto di studio e analisi sin dall’antichità (tra gli altri, Origene di Alessandria ed Eusebio di Cesarea), è solo con la fine del XVIII secolo che è possibile parlare di ricerca storica moderna su Gesù.
È del 1774-1778, infatti, la pubblicazione dell’opera di Samuel Reimarus che, sulla scia di quanto scritto da Albert Schweitzer, viene tradizionalmente considerato il pioniere di questa nuova stagione di ricerca.
I primi studi sono stati caratterizzati da una grande fiducia nella possibilità di poter ricostruire, con metodologie moderne, biografie dettagliate della vita di Gesù (tra gli altri, Ernest Renan).
I risultati conseguiti sono però frammentari, e spesso riflettono la personalità degli studiosi. Con l’inizio del Novecento e, in particolare, con l’opera di Rudolf Bultmann questa fiducia entra quindi in crisi: secondo il teologo tedesco, gli scritti neotestamentari rifletterebbero infatti la fede dei primi cristiani e consentirebbero quindi l’accesso a un Cristo della fede, rendendo quasi inaccessibile il Gesù della storia.
Negli anni tra le due guerre c’è quindi un blocco nella ricerca storica su Gesù. Questa riprende negli anni Cinquanta e conosce una notevole evoluzione, anche in relazione all’allargamento interconfessionale della ricerca, che diventa sempre meno legata a interessi teologici.
Oggi c’è una rinnovata fiducia nella possibilità di ricostruire storicamente gli elementi centrali ed essenziali della vita e del messaggio di Gesù, che viene spesso – ad esempio – tratteggiato come maestro carismatico e taumaturgo.
La figura gesuana pone comunque anche adesso particolare sfide agli storici, anche in relazione ai limiti della ricerca (per Chester G. Starr, ad esempio, “La questione della resurrezione nel terzo giorno non riguarda il giudizio storico”).
Per valutare la storicità di fatti e detti attribuiti a Gesù gli studiosi moderni hanno messo a punto e testato diversi metodi, talvolta usati in modo combinato e comunque ancora oggetto di revisioni e discussioni.
Tra questi è possibile ricordare, a titolo di esempio, il metodo della discontinuità, secondo il quale l’attendibilità di alcune vicende sarebbe tanto più alta tanto più queste sono disomogenee rispetto al giudaismo antico e al cristianesimo primitivo, quello della datazione (preferenza per le fonti più antiche), quello della molteplice attestazione (affidabilità delle informazioni provenienti da più fonti indipendenti tra loro), quello dell’imbarazzo (storicità di eventi che causavano imbarazzo ai primi cristiani).
Un esempio di applicazione di simili criteri è offerto dal recente Jesus Seminar che, se pure con risultati controversi, ha cercato di conciliare rigore della ricerca e intento divulgativo, proponendo una lista di detti e fatti “storici” attribuibili a Gesù.
Se oggi la storicità di un certo numero di fatti (l’origine galilea, il battesimo a opera di Giovanni Battista, l’attività di predicazione, la costituzione di un gruppo di discepoli, la presenza di una controversia sul tempio, la crocefissione) costituisce un nucleo condiviso tra gli studiosi, rimane invece molto incerta e difficile – ma storicamente stimolante – l’analisi delle altre vicende tramandateci dalle fonti.
In generale, sul tema dell’analisi storica dell’esperienza gesuana oggi, secondo alcuni osservatori, si registra però un notevole scollamento tra l’opinione pubblica (polarizzata su posizioni confessionali o, al contrario, sensazionalistiche) rispetto ai risultati – più modesti, ma metodologicamente fondati – conseguiti negli ambienti di ricerca.