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La reggia di Caserta sembra la copia della santa sede, ma è una residenza reale

Cultura Filosofica 13 Giugno 2022 4 min read

Il 15 maggio 1717 George Berkeley descrisse una villa, posta a circa mezzo miglio dall’abitato di Caserta, in condizioni di degrado e abbandono:

«La casa è completamente decaduta, ma i dipinti ai padiglioni e i portici rivestiti di marmo indicano che era una splendida dimora. I giardini sono estesi ma abbandonati. I viali attraversano un ampio boschetto: fontane, nicchie, statue e tra queste ve n’è una che raffigura un pastore mentre suona il flauto. Il tutto risale a 150 anni fa, ma ora è in rovina, nonostante che il Principe vi venga a trascorrere parte del tempo.»

Nel 1751 Carlo acquistò dalla famiglia Caetani di Sermoneta il feudo di Caserta, comprendente anche la villa, con l’idea di istituire in questo luogo il nuovo centro amministrativo del regno, in un luogo generalmente considerato sicuro, lontano dalle eruzioni del Vesuvio e dagli attacchi dei pirati, come quella del 1742, operata dai britannici, adeguandosi allo stesso tempo ai canoni dell’urbanistica illuministica già presente in centri come Vienna o Parigi: il nuovo palazzo sarebbe dovuto essere completamente autosufficiente, con accanto un nucleo urbano produttivo.

Già prima dell’acquisto dell’appezzamento nel 1750, il re aveva scelto Luigi Vanvitelli come architetto, dopo aver avuto il permesso da papa Benedetto XIV, dato che questo era impegnato nel restauro della basilica della Santa Casa di Loreto: il progetto della reggia, con annesso giardino, giunse a Napoli il 22 novembre 1751.

Il giorno del trentaseiesimo compleanno del re, il 20 gennaio 1752, iniziarono i lavori, con la cerimonia della prima pietra, alla presenza del Nunzio pontificio Vanvitelli, che a sua volta pose una seconda pietra con la scritta:

(LT)
«Stet Domus, et Solium, et Soboles Borbonia, donec Ad superos propria vi lapis hic redeat»

(IT)
«Rimanga questo palazzo, questa soglia e la progenie del Borbone, finché questa pietra per propria forza ritorni in cielo»

(Luigi Vanvitelli)
ricorda nei suoi scritti la cerimonia:

«Al primo apparir dell’Aurora del giorno 20 di gennaio 1752, che si dimostrò puro, e lucido, come se il cielo avesse preso parte nella pubblica letizia, nel primo piano destinato all’Edificio, comparir si videro i Regimenti di Fanteria del Molise, e dell’Aquila, e vari squadroni di Cavalleria dei Regimenti del Re, e Dragoni della Regina, che tutti insieme descrivevano l’ambito de’ muri, principali della futura Fabbrica: gli Squadroni di Cavalleria i due lati maggiori del rettangolo, la Fanteria i due minori; gli angoli furono occupati da otto cannoni, due per angolo, e co’ rispettivi Artiglieri, e Milizie di quel Corpo.»

Nel cantiere della reggia furono utilizzati operai e schiavi: nel 1760 si contavano oltre duemila uomini. Tutti i prodotti adoperati nella costruzione furono prelevati o prodotti nelle zone circostanti, come il tufo da San Nicola la Strada, la calce da San Leucio, il marmo grigio da Mondragone, la pozzolana da Bacoli e il travertino da Bellona: fanno eccezione il marmo bianco di Carrara e il ferro di Follonica.

Fino al momento in cui il re lasciò Napoli per ritornare in Spagna, nel 1759, e a cui succedette Ferdinando IV, i lavori procedettero celermente, per poi subire un rallentamento: nel 1764 si arrestarono per un’epidemia di colera e una carestia, stessi eventi che si verificarono anche l’anno successivo.

Nel 1773 morì Luigi Vanvitelli e la costruzione non era ancora terminata: il prosieguo dell’opera venne affidato al figlio Carlo. Nonostante fosse incompleta, la reggia cominciò a essere abitata dal 1789: Giuseppe Maria Galanti, nello stesso anno, affermò che i lavori fossero già costati sette milioni di ducati e che nel cantiero fossero impegnate oltre duemila persone.

Con la proclamazione della Repubblica Napoletana nel 1799, la reggia, così come le altre proprietà della Corona, vennero espropriate: pur non subendo gravi danni, venne depredato il mobilio, recuperato poi a seguito della Restaurazione. L’opera di costruzione continuò anche durante il decennio francese, come si legge in uno scritto di Stendhal:

«Murat ha cercato di far completare questo Palazzo: gli affreschi sono ancora peggiori di quelli di Parigi e l’arredamento di maggior fasto.» (Stendhal)

Carlo Vanvitelli morì nel 1821 e gli succedettero altri architetti: la reggia venne completata nel 1845; rispetto al disegno originario, per le sopraggiunte difficoltà economiche, vennero eliminate dal progetto le torri angolari, la cupola centrale e gli alloggiamenti per le guardie che dovevano racchiudere la piazza antistante.

Nella reggia, il 22 maggio 1859, morì Ferdinando II delle Due Sicilie. L’anno successivo, precisamente il 21 ottobre 1860, dal palazzo, Giuseppe Garibaldi scrisse al re Vittorio Emanuele II di Savoia per consegnargli la provincia della Terra di Lavoro.

Nel 1919 l’intero complesso passò da bene reale al demanio statale. Subì diversi danni durante la seconda guerra mondiale: nel ottobre 1943 divenne quartier generale degli alleati, mentre il 27 aprile 1945, la Germania nazista firma la resa incondizionata alle forze anglo-americane, sancendo la fine del conflitto. Nel 1997 il complesso della reggia di Caserta venne dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.

Wikipedia

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