Il termine è di origine greca e deriva dal termine παρουσία, parousía, che significa “presenza”. Conservando questo significato fondamentale, già a partire dal III secolo a.C. il termine ha cominciato a essere usato per riferirsi alla visita solenne e all’entrata gioiosa e festosa di un principe. In particolare, diventa di particolare rilievo la parousía a una provincia dell’imperatore e i cronisti aulici s’affrettarono a descriverlo come l’inizio di una nuova era.
La parusia è la venuta del Signore Gesù glorificato, con potenza e gloria, alla fine dei tempi.
A volte parusia è reso nelle lingue moderne con l’espressione “ritorno di Cristo”, che però non è del tutto felice, perché non lascia trasparire la differenza tra il primo avvento di Cristo nella povertà e nella bassezza (Fil 2,7; Gv 1,14; vedi anche i Vangeli dell’infanzia di Gesù: Mt 1-2 e Lc 1-2) e la comparsa di Cristo nella potenza e nella gloria e perché dà l’impressione che si tratti di un evento che si è già verificato una volta.
Nella Tradizione della Chiesa la speranza nella parusia compare di solito in unione ad altre affermazioni riguardanti l’escatologia, in particolare in unione con le dottrine della risurrezione dei morti, del giudizio universale, della retribuzione dopo la morte.
La parusia è insegnata nei simboli di fede della Chiesa antica[7] così come nelle decisioni del Medioevo[8], che hanno per contenuto la risurrezione dei morti e il giudizio finale e parlano di una venuta di Cristo (nella gloria).
In tempi più recenti, un Responso della Pontificia Commissione Biblica del 1915 affrontò alcune questioni minori[9]. Il 17 maggio 1979 vi fu poi un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Su alcune questioni riguardanti l’escatologia[10]: in esso la comparsa di Cristo nella gloria viene distinta dalla situazione dell’uomo subito dopo la morte. Tale pronunciamento magisteriale risponde alla tesi della risurrezione al momento della morte, diffusa nelle altre confessioni cristiane e in certa teologia contemporanea.
Nel corso dei secoli la pietà dei fedeli passò dall’attesa ardente della parusia e dall’invocazione di essa alla percezione di essa in termini terrorizzanti. I fattori che indussero tale cambiamento sono i seguenti:
l’esegesi eccessivamente letterale dei passi neotestamentari sulla parusia, legata all’incapacità di cogliere il significato del genere letterario apocalittico: l’accento si sposta sempre più dal fine della venuta gloriosa di Cristo alla paura delle catastrofi annunciate, dalla parusia alla fine del mondo;
la nuova mentalità spirituale che si fa strada come reazione anti-ariana, che si rafforza per l’influenza monofisita e che si sviluppa in modo particolare nell’epoca carolingia lascia passare in secondo piano la figura di Cristo Mediatore[13]; egli non è più colui “nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui” (Ef 3,12); anche la parusia diventa quindi oggetto di timore.
Il tema della parusia fece la sua ricomparsa nella teologia del periodo seguente alla seconda guerra mondiale e produsse la polemica tra incarnazionisti ed escatologisti. Di tale dibattito vi fu eco nella discussione preparatoria dei documenti, soprattutto della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes.