
Le discussioni sugli scopi trascendenti della vita si sono spesso intrecciate, nella storia della filosofia, con quelle sulla presunta bontà o malvagità di essa.
Ad una visione ottimistica, propria ad esempio di Leibniz, che considera Dio il creatore del migliore dei mondi possibili, per cui l’etica umana avrebbe solo da conformarsi ai suoi progetti, si contrappone il pessimismo di Schopenhauer e di Hartmann. Steiner intende mostrare l’infondatezza delle loro convinzioni, dovute al pregiudizio metafisico di postulare delle entità astratte preposte al governo del mondo, che impedisce di valutare oggettivamente l’uomo nella sua libertà.
A Schopenhauer, che vede l’uomo sottomesso ad una volontà cieca, la cui essenza è un incessante desiderare e spasimare per una soddisfazione impossibile da raggiungere appieno, Steiner fa notare che non si può attribuire alle aspirazioni la sorgente del dolore, e che anzi esse procurano la gioia della speranza di un appagamento, una gioia «compagna del lavoro, i cui frutti non si raccolgono che in avvenire». E se anche questi frutti non si raccogliessero, resta la consapevolezza, lenitiva del dispiacere, di aver fatto «la propria parte».
Ad Hartmann, che fonda la sua etica sull’estirpazione di ogni aspirazione al piacere, da lui considerato illusorio in confronto ai dispiaceri, cosicché gli uomini si convincano a prendere su di sé il loro carico di dolore per redimere la sofferenza stessa di Dio, Steiner contrappone l’etica della libertà fondata sulla soddisfazione derivante dalla realizzazione dei desideri dell’uomo e dall’esaudimento dei suoi ideali morali: questi procurano tanto più piacere, quanto più spinosa è stata la via per perseguirli.
Il piacere per Steiner va commisurato non con la quantità del dispiacere incontrato, ma con la forza e l’intensità del nostro desiderio.
Il conseguimento di un obiettivo ha valore per Steiner in quanto «è stato voluto». L’etica del dovere valuta l’uomo in base al rapporto fra quanto il dovere pretende, e ciò che egli compie; ma in questo modo essa lo misura «con un metro che è al di fuori del suo essere».
Ogni singolo uomo non si può spiegare con criteri morali a lui trascendenti, né tantomeno con le leggi della specie, ma solo a partire da sé stesso.