
« O quale donna ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta.
Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte. » (Luca 15,8-10).
La dracma, essa compare solo una volta nel Vangelo, appunto nella parabola di quella perduta.
Nella traduzione si rende con indicazioni generiche.
L’evangelista Luca pone in bocca a Gesù la parola drachmè, riferendosi alla moneta greca equivalente al denario.
Forse, però, Gesù parlò, come al solito, proprio dei denari romani, comunemente usati, e fu l’evangelista a introdurre quella raffinatezza linguistica.
In ogni caso partecipiamo alla gioia della donna, che condivide con le amiche e le vicine il ritrovamento, e accogliamo senza immaginare ritocchi!
L’espressione conclusiva di Gesù: “Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” (15, 10).
La moneta ritrovata dalla donna nella lieta condivisione di tutti: scena tanto quotidiana e simbolo della gioia del Regno di Dio fra di noi.
Un’altra lezione agli scribi e ai farisei viene da questa seconda similitudine dove c’è una donna che viene portata come esempio nel suo comportamento, della premura di Dio per ciò che è perduto.
Una scena banale in una povera casetta palestinese: una donna perde dieci dramme che probabilmente conservava con cura, legate alla benda attorno alla fronte e alla nuca; essi costituivano i suoi beni paternali ,cioè dati dal padre al momento del contratto matrimoniale e di cui ella rimane proprietaria nonostante l’usufrutto sia del marito.
Questa moneta equivale a circa un denaro, la paga quotidiana di un operaio.
Questa parabola di forma identica alla prima ne rafforza l’insegnamento, cento pecore e dieci dramme sono cifre facili da ricordare e memorizzare.
La premura della donna, figura di quella di Dio, è resa con tre verbi ben precisi: Accendere, Spazzare e Cercare.
Viene sottolineato lo sforzo della ricerca che ha esito positivo, come per la pecora.
Ci troviamo in una stanza senza finestre di una casa palestinese, si accende una luce per ritrovare ciò che è prezioso alla vista degli occhi.
Dio cerca ciò che è prezioso per se, ognuno di noi non cessa di essere prezioso per il Signore anche nel momento del peccato e della perdizione.
Il Signore ci cerca e setaccia lo spazio per cercarci e come se Dio spazzasse l’universo in cerca di me, una ricerca dunque capillare e minuziosa perché venga ritrovato suo figlio/a.
All’atto del ritrovamento esplode la gioia che viene condivisa e vissuta nella comunità, ma non sempre troviamo fratelli e sorelle che sono contenti, sinceri e felici, anzi l’invidia li assale, la gelosia e la cattiveria, in questo taluni sacerdoti sono esempi pessimi.
Comunque in quelle comunità dove c’è gioia essa è vista come espressione della salvezza presente e non futura.
Dio non aspetta che l’uomo fa il primo passo, e lo fa con cura e pazienza.
Ogni giusto è invitato a capire e a imitare quest’amore disinteressato di un Dio che va verso chi merita tale attenzione.
La donna è il simbolo di una cura per il singolo che bisogna ritrovare.
Anche noi dobbiamo tornare ad avere cura di qualcuno nelle nostre comunità fatte di ipocrisia e opportunismo.
La capacità di condivisione non si vive soltanto con chi abbiamo accanto e frequentiamo, non aspettiamo di vedere il fratello o sorella per sapere come sta perché siamo ipocriti in questo comportamento, ed è del tutto inutile poi andare alla santa messa tutti i giorni se poi pecchiamo in azioni talmente semplici che un bambino ci riderebbe in faccia.
La mentalità individualista di oggi sposta l’attenzione dalla gioia al fare qualcosa sinceramente in modo semplice e disinteressato a ciò che gli altri vedono perché così dimostro di aver fatto, ma non hai fatto nulla di eclatante.
La gioia richiede una condivisione ben differente e se non lo hai compreso puoi continuare nel andare di quà e di là, nel cercare le tue preziose sei giare quando già ne hai una in casa, ma sei ingordo/a.
Il tuo affannarti nel andare a cercare le parole riferite dal francescano o benedettino di turno, quando poi sei arido/a dentro la tua anima, ma l’importante è partecipare a questi eventi, felici e contenti di solcarne il luogo.
Questo comportamento ricorda un pò quei buddisti europei i quali si ritrovano in casa di tizio e caio, pregano e poi pacche sulle spalle per far vedere che si è in sintonia con il tutto, poi appena usciti l’egoismo li assale e come demoni del tempo fuggono veloci nelle loro dimore immonde, dimenticando quel prossimo che pochi istanti prima era accanto a loro.
Verrà il giorno in cui qualcuno/a busserà alla porta della vostra anima lercia, ma per voi non ci sarà più tempo, la clessidra conterà i secondi e ve ne andrete per sempre da questo mondo fatto del nulla nel quale avete partecipato e collaborato, da secoli come altri.
La gioia quindi nasce nella vita di ogni giorno e di ognuno quando ci apriamo ad una reale dimensione che va ben oltre al chiacchiericcio e all’apparenza o all’apparire, va oltre alle consuete preghiere di ogni giorno fatte con la bocca.
Quello che conta sono i fatti concreti, tutto il resto è raccontare a se stessi fuffa per far piacere al vostro egocentrismo.
Il desiderio è ben differente da quanto sopra ed è quella moneta che va oltre il confine dell’orizzonte fisso nella mente limitata, oltre significa uscire dal proprio habitat, dal guscio e spingersi nel bosco alla ricerca appassionata del Regno di Dio, nel quale l’uomo e la donna si trovano soli e non privi da insidie però amati dal suo Creatore e imparano a costruire una comunità di pace e di giustizia, di comprensione e di perdono.
Una moneta…un simbolo, ma anche un obiettivo: creare una comunità che concorre al bene di tutti e non solo di pochi intimi conoscenti e amici in una chiesa ove non serve dimostrare con preghiere di essere od avere, ma nel dare. Sino ad allora non siamo nulla…ed in questo infinito universo ci perdiamo nel volteggiare alla ricerca di un approdo inesistente.