Il 9 maggio 1955 la Repubblica Federale Tedesca entrò a far parte della NATO e tale evento fu descritto come “un decisivo punto di svolta nella storia del nostro continente” dal ministro norvegese degli affari esteri Halvard Lange.
La possibilità di una nuova Germania riarmata generò timori nelle leadership della Repubblica Socialista Cecoslovacca, Repubblica Democratica Tedesca e Repubblica Popolare Polacca: i tre Stati si opposero fortemente alla ri-militarizzazione della Germania Ovest e cercarono di stipulare un patto di difesa reciproca.
I leader dell’Unione Sovietica, come molti altri Paesi europei occidentali e orientali, temevano il ritorno della potenza militare tedesca e quindi di una minaccia diretta simile a quella rappresentata dai tedeschi subito prima della seconda guerra mondiale, il cui ricordo era ancora fresco nelle memorie dei Sovietici e degli Europei dell’est. Poiché l’URSS aveva già stipulato degli accordi bilaterali con gli Stati satellite, l’esigenza di un Patto venne considerata a lungo superflua.
Il 14 maggio 1955 l’Unione Sovietica, l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Germania Est, la Polonia, la Romania e la Cecoslovacchia firmarono a Varsavia il Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca, noto in seguito come Patto di Varsavia. Nel preambolo del trattato si affermava che:
«Riaffermando il loro desiderio di creare in Europa un sistema di sicurezza collettiva fondato sulla partecipazione di tutti gli Stati europei qualunque sia il loro regime sociale e politico, il che permetterà di unire i comuni sforzi per assicurare il mantenimento della pace in Europa.
Tenendo conto, inoltre, della situazione creatasi in Europa in seguito alla ratifica degli accordi di Parigi, che prevedono la costituzione di un nuovo organismo militare sotto la forma di Unione dell’Europa Occidentale, che comportano la partecipazione della Germania occidentale rimilitarizzata e la sua integrazione nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati pacifici.
Convinti che, in tali condizioni, gli Stati pacifici dell’Europa debbano prendere le misure necessarie sia per garantire la loro sicurezza sia nell’interesse del mantenimento della pace in Europa.
Sotto la guida degli scopi e dei principi dello Statuto delle Nazioni Unite,
Nell’interesse di rafforzare e sviluppare ulteriormente l’amicizia, la cooperazione e l’assistenza reciproca in conformità ai principi del rispetto dell’indipendenza e della sovranità degli Stati, nonché della non interferenza nei loro affari interni,
Abbiamo deciso di concludere questo Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza e nominato i nostri delegati […]»
Gli otto paesi membri del Patto di Varsavia si impegnarono nella mutua difesa nel caso di un attacco contro uno Stato membro.
Formalmente, le relazioni tra i firmatari del Trattato furono basate sul non-intervento negli affari interni degli Stati membri, rispetto della sovranità nazionale e dell’indipendenza politica (accordi mai rispettati da parte dell’URSS).
Come organo di controllo fu istituito il Comitato politico consultivo (in russo: Политический консультативный комитет, ПКК?, traslitterato: Političeskij konsul’tativnyj komitet, PKK), formato dai delegati di ogni paese membro.
L’URSS permise successivamente alla Repubblica Democratica Tedesca di armarsi e fu creata la Nationale Volksarmee come corpo delle forze armate tedesche orientali per contrastare il riarmo della Germania Ovest.
Tra il 27 e il 28 gennaio 1956 si riunì per la prima volta il PKK e in tale occasione gli Stati del Patto di Varsavia presentarono varie proposte, tra cui la sostituzione dei gruppi militari esistenti in Europa con un sistema di sicurezza collettiva, la creazione di zone di limitazione militare ed il controllo delle armi.
Nel Patto di Varsavia, l’Unione Sovietica aveva una preminenza sia a livello amministrativo sia decisionale.
Dal punto di vista della catena di comando, la struttura militare dell’alleanza era guidata dal Comandante supremo del Patto di Varsavia, che era il responsabile dell’organizzazione, addestramento e schieramento delle forze a disposizione e che in caso di guerra avrebbe diretto operativamente le truppe.
Durante tutto il periodo dell’alleanza, il comandante supremo era sempre un alto ufficiale sovietico; il primo comandante supremo del Patto fu il maresciallo Ivan Konev, uno tra i più famosi e prestigiosi ufficiali sovietici della seconda guerra mondiale.
Il principale collaboratore del comandante supremo era il Capo di stato maggiore del Patto di Varsavia, scelto sempre tra gli ufficiali superiori sovietici.
Nell’autunno del 1956 scoppiò nella Repubblica Popolare d’Ungheria un’insurrezione anti-sovietica e il primo ministro Imre Nagy annunciò l’uscita del Paese dal Patto di Varsavia, l’espulsione delle truppe sovietiche e l’instaurazione di un regime multipartitico.
Temendo la diffusione di sentimenti antisovietici nel blocco orientale e lo sgretolarsi dello stesso, nonché in seguito all’annuncio da parte di Radio Free Europe di un possibile intervento dell’esercito americano, l’Unione Sovietica decise di invadere l’Ungheria, deporre il governo di Nagy e reprimere la rivolta.
Negli scontri, morirono circa 2 700 ungheresi, pro e contro la rivoluzione, e 720 soldati sovietici.
Nel 1958 il Comitato politico del Patto di Varsavia adottò a Mosca una dichiarazione con la quale fu proposta la firma di un patto di non aggressione con i Paesi della NATO.
Nel 1960 il Patto di Varsavia emise una dichiarazione con la quale gli Stati membri approvarono la decisione del governo sovietico di abbandonare unilateralmente i test nucleari, a condizione che anche le potenze occidentali facessero altrettanto, e chiesero la creazione di condizioni favorevoli per la redazione di un trattato per porre fine ai test sulle armi nucleari.
Nel luglio 1963 la Repubblica Popolare Mongola fece domanda per entrare nel Patto di Varsavia in base all’articolo 9 del trattato, ma, a causa dell’emergere della crisi sino-sovietica, la Mongolia rimase un membro osservatore.
Nel 1965 il Comitato politico del Patto si riunì a Varsavia per discutere sui piani riguardanti la creazione di forze nucleari multilaterali da parte della NATO e considerò delle misure di protezione in caso di attuazione di tali progetti.
Nel gennaio 1990 i vertici della NATO e del Patto di Varsavia si incontrarono per la prima volta insieme in occasione della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, riunendosi successivamente per discutere sugli spazi aerei ed una possibile collaborazione.
Nello stesso anno a Mosca fu discussa una possibile riforma del Patto di Varsavia e del suo ruolo nell’Europa orientale.
Nello stesso anno, avvenne la riunificazione tedesca, con una Germania unita che, dopo lunghe trattative con l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia, poté entrare ufficialmente nella NATO.
Con il Patto di Varsavia ancora in vigore, Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria parteciparono alla guerra del Golfo al fianco della coalizione USA con l’Operazione Desert Shield e Desert Storm.
I nuovi governi dell’Europa orientale non erano più sostenitori del Patto. In seguito alla repressione militare in Lituania del gennaio 1991, Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria annunciarono, attraverso il portavoce del presidente cecoslovacco Václav Havel, l’intenzione di uscire dal Patto di Varsavia entro il primo di luglio.
Il 1º febbraio anche il presidente bulgaro Želju Želev annunciò l’intenzione di uscire dal Patto.
Il 25 febbraio a Budapest i ministri degli Esteri e della Difesa dei sei paesi (URSS, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria e Ungheria) rimasti nell’organizzazione decisero lo scioglimento per il 31 marzo dell’Alto Comando Unificato e di tutti gli organismi militari dipendenti dal Patto.
I ministri firmarono anche un documento di sei pagine che annullava tutti i trattati di reciproca assistenza in caso di aggressione.
Il 1º luglio 1991 venne firmato a Praga il protocollo ufficiale per lo scioglimento del Patto di Varsavia, ponendo fine a 36 anni di alleanza militare con l’URSS.
Nei mesi successivi iniziò il processo che porterà alla dissoluzione dell’Unione Sovietica il 26 dicembre 1991.
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