I Longobardi riservarono una particolare venerazione all’arcangelo Michele, al quale attribuirono le virtù guerriere un tempo adorate nel dio germanico Odino.
All’arcangelo i Longobardi dedicarono diversi edifici religiosi in tutta Italia; in particolare, nel territorio del ducato di Benevento sorgeva il santuario di San Michele Arcangelo, fondato prima dell’arrivo dei Longobardi, ma da questi adottato come santuario nazionale a partire dalla loro conquista del Gargano (VII secolo).
La devozione all’arcangelo rimase tra le più sentite durante l’intero regno longobardo, accanto a quelle di Giovanni Battista, del Salvatore e, in misura minore, di un altro santo “guerriero”, san Giorgio.
Il culto micaelico si sviluppò presso i Longobardi dopo la conversione al cattolicesimo del popolo germanico, avvenuta dopo il loro stanziamento in Italia (568) e completata durante il regno di Cuniperto (688-700).
La conversione dei Longobardi al cattolicesimo dall’arianesimo e dal paganesimo che professavano al momento del loro ingresso in Italia fu un processo graduale, che occupò tutto il VII secolo e che si accompagnò a divisioni politiche e ideali all’interno della gens Langobardorum. L’opera di conversione fu avviata dalla regina Teodolinda (589-626) e si appoggiò all’opera del missionario irlandese Colombano di Bobbio.
Il culto micaelico si sviluppò quindi entro un contesto di religiosità arcaica, presso la quale trovava terreno particolarmente fertile la venerazione dei santi, percepiti come affini alle divinità di ascendenza norrena della tradizione più antica del popolo.
In Michele, l’angelo che difende spada in pugno la fede in Dio contro le orde di Satana, i Longobardi riconobbero in particolare le virtù di Odino, dio della guerra, guida verso l’aldilà e protettore degli eroi e dei guerrieri avvertito come particolarmente vicino ai Longobardi fin dal loro mito delle origini.
Epicentro del culto micaelico presso i Longobardi fu il santuario del Gargano, dal quale si irradiò in tutto il regno longobardo; l’arcangelo guerriero fu presto considerato il santo patrono dell’intero popolo.
Dall’epicentro garganico il culto micaelico fu diffuso nella parte settentrionale del regno (Langobardia Maior) da re Grimoaldo (662-671) che, pur essendo originario del ducato del Friuli, nel 651 era divenuto duca di Benevento.
L’Historia Langobardorum annota una visione nella quale l’arcangelo, insieme a san Giovanni Battista e a san Pietro, apparve a un eremita al quale si era rivolto l’imperatore bizantino Costante II, che era sbarcato in Italia con l’intenzione di ristrapparla ai Longobardi.
La profezia, ideata all’interno della tradizione agiografica beneventana (VIII secolo) e recepita da Paolo Diacono, consigliava l’imperatore di desistere dal suo tentativo, poiché la grande devozione manifestata dai Longobardi garantiva loro l’appoggio divino; Costante era stato infatti sconfitto da Grimoaldo nel 663.
Il culto fu poi alimentato dai successori di Grimoaldo e ricevette un particolare impulso con Cuniperto[2]. Il sovrano era un esponente della dinastia Bavarese, radicata tra i ducati occidentali della Langobardia Maior (Neustria) e filo-cattolica fin dai tempi di Teodolinda, e nel 689 sconfisse nella decisiva battaglia di Coronate l’usurpatore Alachis, duca di Trento e alfiere della fronda filo-ariana dei ducati orientali (Austria); nella memorialistica, ripresa e tramandata da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum.
Cuniperto presentò la battaglia come una sorta di giudizio di Dio tra lui e Alachis, con l’arcangelo Michele nel ruolo dell’arbitro che avrebbe decretato la vittoria della fazione ortodossa e legittimista e, al tempo stesso, la vergogna individuale e il fallimento politico e militare dell’usurpatore. Conseguentemente a questo disegno, Cuniperto introdusse l’effigie dell’arcangelo anche nella monetazione coniata durante il suo regno.
Un’attestazione indiretta della forte presenza del culto micaelico in età longobarda, anche al di fuori dei confini del regno, è l’intitolazione all’arcangelo della Mole Adriana: papa Gregorio I, che era in stretti rapporti epistolari con la regina Teodolinda, ribattezzò infatti la rocca “Castel Sant’Angelo” quando, nel 590, avrebbe avuto una visione nella quale proprio l’arcangelo rinfoderava la sua spada, a simboleggiare il termine di una pestilenza che aveva devastato Roma.
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