Nella sua parabola, Gesù racconta di un “certo samaritano” che pulisce alle ferite di un uomo, causate dai banditi che lo avevano aggredito lasciandolo quasi morto.
Sebbene un prete e un levita passino accanto alla vittima, il samaritano lo carica sul suo animale, lo porta in una locanda e si stabilisce con l’oste.
“Quale di questi tre pensi fosse più vicino all’uomo che è caduto nelle mani dei ladri?” Chiede Gesù.
I samaritani non sono una reliquia del passato, ma un popolo vivente. I samaritani vivono in Terra Santa fin dai tempi biblici.
Abbiamo tutti sentito parlare dei samaritani, ma chi sono? I samaritani, come gli ebrei, sono israeliti. Tracciano il loro lignaggio alle antiche tribù bibliche di Levi e dei figli di Giuseppe – Efraim e Menashe. Tracciano il loro lignaggio verso le tribù settentrionali “perse” di Israele.
I samaritani si definiscono il Shomrim, i guardiani della Torah. Reveriscono i Cinque Libri di Mosè e si sforzano di osservare i suoi comandamenti.
La loro montagna santa è il Gerizim, sopra il moderno Nablus.
In vacanza la comunità samaritana sale sulla montagna per pregare.
In Pasqua ogni famiglia sacrifica una pecora, come hanno fatto i loro antenati, credendo nell’esodo dall’Egitto.
I samaritani (ebraico: שומרונים, arabo:السامريون) sono i membri di una comunità israelita in Palestina e Israele comprendente 796 membri (popolazione censita nel 2017), di cui 381 abitano in Cisgiordania (principalmente a Kiryat Luza) e 415 in Israele, perlopiù a Holon.
I samaritani dicono di essere i discendenti delle tribù israelite di Efraim e Manasse (due figli di Giuseppe) e dai sacerdoti leviti, i quali hanno rapporti con l’antica Samaria dai tempi dell’entrata in Canaan, mentre altri suppongono che si parta dall’esilio babilonese fino al regno samaritano di Baba Rabba.
In qualsiasi caso Gesù, raccontando la parabola del buon samaritano, sceglie uno di loro come esempio per spiegare l’attenzione che bisogna avere verso il prossimo (Luca 10,25-37), mostrando che è preferibile un “eretico”, come un samaritano, che si comporta con amore verso il prossimo, di quanto non siano dei sacerdoti e dei leviti, le cui convinzioni siano del tutto ortodosse ma che si comportino senza alcuna carità verso il loro prossimo.
Il vero credente, per questa parabola, è chi nelle azioni segue l’esempio di Cristo, e non chi si reca al culto nel tempio più “ortodosso”.
Gesù attraverso la parabola vuole quindi enfatizzare l’importanza della morale, della compassione e del giusto comportamento da tenere nei confronti degli altri, anteponendo quindi l’amore e l’etica alle formalità.
Lo stesso vale per l’incontro con la samaritana al pozzo di Giacobbe” (Giovanni 4), il cui comportamento è ancora più “paradossale” in quanto lei, “miscredente”, se non addirittura “pagana” (ed anche persona dalla vita scandalosa), è capace di comprensione di cose che i credenti ortodossi, che pure hanno avuto l’educazione necessaria per comprenderle, non arrivano a capire.
Ancora in Luca 17,11-19, quando Gesù guarisce dieci lebbrosi, uno solo di loro è capace di gratitudine e va da lui a ringraziarlo, ed è un samaritano.
Fonte Yeashiva Ebraism