Dov’è Dio? Ci chiediamo più e meno consciamente quando usciamo da una cosa che – se non fosse per la “distribuzione delle Ostie” – avremmo bollato come una trasmissione vagamente trash, di quelle dove si litiga facendo solo a gara a chi urla di più, ovvero un programma-contenitore, di quelli dove non si riesce mai a capire di cosa trattino.
Dov’è Dio? La domanda, scaturita dall’aridità della Parola, sempre più relegata all’angolo come il Santissimo in una malfatta chiesa moderna, cerca l’unica risposta possibile in una inaspettata pioggia di Grazia che possa far fiorire il deserto.
Ma, invece di aprire la Bibbia e meditare sulla Parola, nel modo semplice che Cristo insegna, si viene istintivamente attratti dai quei luoghi e quei gruppi nei quali sembra che la Grazia sovrabbondi, poiché si balla, si canta, si invoca alla maniera degli sciamani la discesa dello Spirito Santo, e in quest’atmosfera si crede di aver trovato la pietra filosofale che tutto tramuta in oro.
Un Paese di Bengodi che, fortunatamente, si rivela poi per quello che è: un luogo in cui ci si abbassa ad una sfera tremendamente bruta, fatta solo di sentimentalismi, di emotività, di un’euforia che scimmiotta goffamente la gioia, proprio come un asino rivestito dalla pelle di un leone.
A quel punto, c’è chi riesce ad uscire da un simile tunnel a senso unico, e chi invece rimane invischiato dai canti delle sirene, prendendo per oro colato qualsiasi scemenza detti il proprio kapo’, che a sua volta è stato indottrinato dai kapo’ suoi superiori, in una scala piramidale non dissimile dal settarismo attuato da aziende dedite alla vendita porta-a-porta.
Ecco perché è assolutamente necessario che ci siano persone attente, colte, formate diligentemente alla scuola della Chiesa Cattolica, che mettano a disposizione il proprio tempo e la propria cultura per sradicare – sia pure nello spazio ristretto della Parrocchia o in quello, si spera in crescita, del Web – le errate convinzioni inculcate dai “katekisti” (lo scrivo così per non offendere i catechisti veri) agli “adepti”, i quali, spesso, non fanno caso alle tele (non chiamiamole icone, per non offendere la Tradizione Artistica della Chiesa) imbrattate dal “guru”, delle quali risalta subito la bruttezza, che camuffa bene i significati reconditi in esse racchiusi, evitando nel coinvolgere il signore Dio in faccende che riguardano mammona.
Il grande assente, a livello capillare, dei Sacri Riti, è spesso il senso del Sacro, perduto o mimetizzato in mille trovate da reality, cascate di lustrini fatti di nulla, elucubrazioni partorite da menti ormai fiacche, che ritengono prosciugata la sorgente della Parola di Dio – sulla quale potrebbero imbastirsi fior di omelie atte ad educare il popolo – e, con tale scusa, preferiscono far tacere la roccia del Sepolcro – seppellendo Cristo per la seconda volta – a vantaggio di liturgie con la elle minuscola, ridondanti di un’eco vuota, chiassose nel loro silenzio assordante, stancanti, deprimenti, deludenti.
René Fauberger