La presenza di Cristo nella celebrazione eucaristica. «Nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea dei fedeli riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua Parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche» (Principi e norme del Messale Romano, 7).
La festività del “Corpo e Sangue di Cristo” mette in evidenza innanzitutto e soprattutto il contesto celebrativo dell’eucarestia in cui Gesù si fa realmente presente in varie forme, fra cui in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche. Da duemila anni questo suo farsi presente nella celebrazione eucaristica rimane inalterato.
Ma anche qualcosa di così straordinario rischia, a causa della debolezza umana, di venire sottovalutato o non avvertito in tutta la sua dimensione. E allora è necessario richiamare sempre tale verità.
La preghiera di consacrazione rende palese il fatto che Gesù non solo è presente e interagisce con noi, ma anche e soprattutto si offre a noi e per noi. Nell’eucarestia celebriamo il mistero pasquale di Cristo che si è offerto sulla croce come agnello pasquale affinché noi fossimo salvati dai nostri peccati. Quel corpo e quel sangue sono il suo corpo offerto sulla croce e il suo sangue versato sulla croce. Gesù non ha detto soltanto “questo è il mio corpo … questo è il mio sangue”, ma ha specificato “che è dato … che è versato …”.
Quel suo offrire la vita, totalmente (corpo e sangue), è in favore degli uomini, a cominciare dai suoi discepoli (Lc 22,19-20; 1Cor 11,24). Questo si ripete sacramentalmente nella celebrazione eucaristica. Le parole della consacrazione fanno presente e attualizzano questa verità. È la forma dell’amore del Padre che offre il Figlio per amore nostro. Questo amore chiede agli uomini di essere accolto. Esso non si impone; rimaniamo sempre liberi per accoglierlo o rifiutarlo.
La presenza di Gesù in mezzo a noi giunge al suo culmine nel momento in cui ci nutriamo dell’eucarestia. Egli si offre così totalmente a noi da farsi nostro cibo. La vita eterna che abita nella sua persona viene comunicata a noi. Certo … se non siamo stati in grado di riconoscere la sua presenza nell’intera celebrazione e lasciarci interpellare da lui, lasciarlo interagire con noi … il ricevere la comunione può diventare anche un mangiare la propria condanna (vedi in seguito).
Se lo abbiamo snobbato durante la celebrazione – magari perché non lo abbiamo minimamente ascoltato, magari perché siamo arrivati in ritardo, perché abbiamo fatto altre cose, magari perché non siamo in comunione con lui a causa di qualche peccato grave, ecc. ecc. – allora il riceverlo nell’eucarestia forse ci fa più male che bene. Quel Cristo che è nel pane consacrato è lo stesso che è presente nei fratelli, nella Parola, in tutta la celebrazione, anche se lì lo è in forma sostanziale e permanente.
Seconda lettura.
Se Cristo ci ha lasciato il suo corpo in nutrimento è perché ne abbiamo bisogno. La vita nuova che egli ha reso disponibile per gli uomini e che noi riceviamo attraverso il battesimo necessita, come ogni forma di vita, di un nutrimento. “Ogni volta” dobbiamo continuare a nutrirci di lui finché egli venga (v. 26). Non si può trascurare questa esigenza; non possiamo pensare di non averne bisogno, di poter essere cristiani anche senza questo nutrimento. Come dicevano i martiri di Bitinia, “senza l’eucarestia non possiamo vivere”.
D’altro lato, questo continuo accostarci all’eucarestia non può e non deve banalizzare la realtà di tale nutrimento e nemmeno trasformarlo in una specie di panacea, di talismano protettivo universale. Sarebbe, in tal caso, voler trasformare Dio in un idolo. Per questo il discorso di Paolo relativo all’eucarestia non si ferma (come invece fa la nostra lettura) al v. 26.
Al v. 27 san Paolo presenta innanzitutto una equivalenza fra il pane e il calice da una parte e il corpo e il sangue di Cristo dall’altra. Il pane è veramente il corpo, e il vino è veramente il sangue di Cristo. Tanto è vero che chi ne mangia impropriamente diventa reo di essi; e questa è la seconda cosa importante. Perciò occorre “esaminarsi” (v. 28) prima di comunicare ad essi. Inoltre i versetti successivi mostrano, comunque si vogliano intendere, che partecipare al corpo e sangue di Cristo può essere una cosa nociva.
«Chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà colpevole del corpo e sangue del Signore … chi mangia o beve senza criterio, mangia e beve la propria condanna. Per questo fra voi molti sono malati o infermi e un buon numero sono morti»:
1Cor 11,27.29-30. Non è detto che ricevere la comunione sia sempre positivo; “male non fa”, pensano alcuni. Paolo afferma il contrario; che può fare male e molto male. Invece di essere fonte di salvezza la comunione eucaristica diventa una condanna, come se si mangiasse qualcosa di avvelenato.
Per questo non bisogna accedere all’eucarestia superficialmente, ma dopo un esame serio, perché “chi si esamina non sarà giudicato” (v. 31). Ciò implica che chi invece non si esamina, cioè chi fa la comunione superficialmente, sarà giudicato, perché diventa colpevole del corpo e sangue di Cristo.
Non ci si può accostare alle cose sante superficialmente; tanto meno a Dio. E il pane e il vino consacrati sono il corpo e sangue di Cristo che è Dio. Chi si avvicina superficialmente a Dio – dice san Paolo – rischia di morire. Così è successo ai figli di Aronne (Lv 10,1-5), a Uzzà e Achio (2Sam 6,1-9), ad Anania e Saffira (At 5,1-11). Chi si comporta in questo modo mette le cose sante e Dio stesso al livello delle cose profane. Dio è Dio e non lo si può ridurre ad un opera delle mani dell’uomo;
Dio non accetta di essere ridotto ad un idolo. Non si può scherzare con le cose sante, cioè con Dio che è il Santo e con quanto appartiene a Dio. Dio non può essere strumentalizzato e usato come un portafortuna. Per questo chi si accosta in modo superficiale e irriguardoso all’eucarestia è come se per lui quel pane e quel vino fossero appunto solo pane e vino. Non importa quello che uno dice di credere; importa l’atteggiamento concreto che uno assume.
Se con i nostri atteggiamenti mostriamo di non dare alcuna importanza alle cose sante, possiamo dire quello che vogliamo, ma di fatto non crediamo di essere alla presenza di Dio. Il senso di “esaminarsi” di 1Cor 11,28 sembra essere dunque quello di verificare, prima di accostarci alla comunione, se veramente con il nostro atteggiamento stiamo dimostrando di essere alla presenza di Dio.
Il pane e il calice a cui comunica il cristiano sono il pane e il calice di Cristo, anche nel senso che sono lo stesso nutrimento e la stessa bevanda che egli ha assunto. Gesù ha detto: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34) e «Il calice che io bevo anche voi lo berrete» (Mc 10,39).
Quel pane e quel calice erano per lui il compimento della volontà del Padre. Ciò significa che anche per il cristiano il partecipare al pane e al calice di Cristo implica assumere pienamente la propria croce come ha fatto Gesù. Ancora una volta, comunicare all’eucarestia con l’intenzione che essa funzioni come un talismano protettivo dai problemi della vita sarebbe una profanazione.
Don Marco Ceccarelli