Il QI è un concetto psicologico, l’intelligenza è sociologico, il genio è filosofico/estetico. Dal punto di vista statistico, vi è una relazione inversa fra i concetti sopra menzionati.
Prendiamo l’esempio di coloro sono in un cammino spirituale interiore, sia esso buddista, induista, ascetico trascendentale, ed altri, nei quali per avere una relazione tra QI e conservatorismo intellettivo bisogna sviscerare i concetti sopra indicati.
Prendendo spunto da Jordan Peterson ove si evince che il motivo rilevante per rifiutare il conservatorismo, viste le sue opinioni politiche, è improbabile nel giustificare le differenze nella misurazione del QI, si evince in sintesi la misura la quale può essere influenzato da vari fattori con cui si correla (reddito, ambiente, frequentazione dell’università, eccetera).
L’intelligenza del genio, il cui QI si può rappresentare solo parzialmente, ha un valore da definirsi tale quando il suo discernimento logico si evidenzia in qualcosa di specifico, concreto e pratico.
L’intelligenza, secondo studiosi di vari tempi, sta nella capacità di adattamento e risolvere problemi anche sconosciuti.
Quindi l’intelligenza, più che nella memoria, nelle capacità di calcolo, eccetera, sta nell’inventiva, nell’originalità.
Il genio, colui che vediamo come fornitore di contributi in un campo ove studia o lavora, è quello che riesce a farsi una domanda mai pensata da altri.
Quanto sopra descritto serve per far capire che se ciò che ci interessa è in una questione specifica, bisognerebbe affidarsi ad un esperto od a colui ha una preparazione in quella materia, settore, ecc.
Vi sono però argomenti e questioni per le quali non esiste un esperto, l’etica, Dio, l’esistenza dei numeri, ed altro ancora.
Pertanto se dobbiamo pensare all’intelligenza in generale, siamo nella capacità di comprendere più o meno gli stimoli esterni e da essi dare un nostro contributo alla soluzione oppure fregarsene lasciando ad altri il compito della soluzione.
Alcuni individui, come ad esempio Frederick Parker Rohdes, linguista, micologo, matematico, scrittore di racconti e uno dei fondatori della bit-strings physics, Gabriele Mandel, che ha studiato arte con Dalì e Matisse, George Spencer Brown, Story Musgrave, non sono religiosi.
Qualcuno dirà, perché portiamo questo esempio ? Detto fatto. Alcuni di loro sono psichiatri, c’è chi ha dottorati anche in archeologia, hanno scritto di calligrafia, di genealogie, di storia dell’arte, di storia delle religioni, e molto altro.
Quanto sopra fa riflettere sul fatto che atei e agnostici o comunque coloro non sono religiosi, hanno una praticità nel discerne fatti oggettivi e concretamente sviscerati sino alla radice per comprendere se, effettivamente le religioni preferiscono ammansire le giovani leve, piuttosto che gli adulti intellettuali, salvo il gregge che continua imbonito nel essere condotto al pascolo da un pastore ogni volta differente, ma nella Bibbia è unico per tutto e tutti.
Ora per non dilungarci oltre e stancarvi con testi lunghi, cercheremo di concludere a breve, portando a meditare sulla qualità che contraddistingue l’intelletto.
Esso non quantifica le qualità cognitive della mente empirica-selettiva. Se la intelligenza indicizzata dal QI è buona, allora perché il gregge non è in grado di distinguere intuitivamente e istintivamente qual’è l’inganno?
Si evince che colui racconta perpetuamente delle menzogne con la illusione del percepimento di qualcosa astratto, diventa poi realtà di gregge, com’è avvenuto sempre nella storia dell’Umanità?
Il gregge non è sempre capace del discernimento, basandosi dal pastore di turno il quale racconta ciò che legge o studia, comunicando poi delle proprie interpretazioni in nome e per conto di colui che, se fosse presente, probabilmente lo invierebbe sul fiume per le idiosincrasie riferite ?
Possiamo dire che colui che sa e comprende veramente si pone nella posizione psicologica della Sfinge, mentre L’ignorante tenta di parlare di quello che in fondo non è; Anzi, è costretto a parlare perché non ha appunto compreso.
C’è solo una realtà ultima, l’uno senza secondo, il Solitario sempre esistente, onnipervadente che appare Universo tramite Il Mirabile gioco di “māyā”. Se, dunque, ogni dato che non è una sovrapposizione illusoria all’Unica realtà non può esserci, allora, nascita, crescita o fine di alcunché, perché questi termini implicano modificazione-divenire.
Gli empiristi considerano fantastici, evasivi e fuori della realtà i metafisici: questi a loro volta fanno rilevare agli empiristi che stanno investigando e considerando assoluto un evanescente transitorio: non fanno in tempo a definire un dato che sparisce dalle loro mani come un miraggio nel deserto.
Gli empiristi sono dei bambini che vogliono stringere nella loro mani l’aria, la nebbia che li circonda. Un vero metafisico, ponendosi da un punto di vista più sintetico e universale non può non comprendere l-empirico, mentre il più delle volte per ovvie ragioni, l’empirico non comprende il metafisico.
Si ringrazia per quanto sopra, Alessio Montagner, Alex Frani, Quora