Il concetto di imitazione di Cristo ha un contesto cristologico e delle implicazioni sin dai primi giorni della teologia cristiana. Nel contesto della persona di Cristo, la credenza del monofisitismo che asseriva l’unica natura divina di Cristo senza legami con l’uomo, si oppose all’idea di imitazione di Cristo.
Gran parte di queste problematiche, a ogni modo, vennero risolte con la dichiarazione di eresia del monofisitismo da parte delle chiese occidentali e da gran parte delle chiese orientali.
L’accettazione della natura umana (e quindi divina) di Cristo ha portato l’imitazione dello stesso Cristo da parte dei cristiani, ma nel contempo ha evidenziato i limiti di questa imitazione che si esemplificano ad esempio nella morte di Cristo in obbedienza alla volontà del Padre e per la redenzione del genere umano, cosa che nessun altro cristiano potrà mai fare per quanto cerchi di imitare Cristo.
Mentre nella cristologia occidentale l'”imitazione di Cristo” ha il proprio culmine nel sacrificio al Calvario, questo non è lo stesso per le chiese orientali dove il termine “vita di Cristo” è stato usato spesso per focalizzare l’esperienza chiave di Cristo sulla terra con la trasfigurazione.
Non a caso nelle chiese orientali non vi sono santi con le stigmate, ma spesso diversi santi sono apparsi come trasfigurati o “emananti luce”.
Un ulteriore punto cristologico che differenzia l’approccio orientale da quello occidentale è il ruolo del Padre e dello Spirito Santo nel concetto trinitario.
In contrasto a quanto riportato da Agostino e da Tommaso, infatti, nella cristologia orientale lo Spirito Santo non è visto come il legame d’amore tra il Padre e il Figlio e pertanto l’imitazione del Figlio non ha le medesime implicazioni in termini di unità col Padre.
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