L’antica concezione cosmologica della musica delle sfere passò nel Cristianesimo, dal quale venne ulteriormente meditata e approfondita, costituendo la base di numerose raffigurazioni di angeli musicanti, suddivisi in cori angelici gerarchicamente ordinati, identificati con le orbite celesti di astri e pianeti:
nella musica delle sfere si udiva cantare cioè il coro degli angeli, che accompagnava gli eventi principali che avvenivano in Cielo, quali la Trinità, l’Ascensione, l’Incoronazione di Maria.
Già Agostino d’Ippona, nel De Musica e nelle Confessioni, vedeva nei suoni il riflesso di un’armonia primordiale dell’anima.
Furono poi soprattutto Macrobio e Boezio a fare da tramite fra il pensiero pitagorico, basato sul simbolismo dei numeri, e la nuova teologia cristiana.
La Via Lattea, intersecando lo Zodiaco, forniva per Macrobio il «latte», ossia il nutrimento alle anime dimoranti nei cieli, in attesa di incarnarsi.
Tutto l’universo è per lui fondato su rapporti numerici, nei quali si riflette il progetto creativo di Dio, esprimibili secondo accordi musicali basati sulla tetraktys pitagorica.
Boezio, ponendo le basi del quadrivium scolastico, ossia il complesso delle materie scientifiche che verranno insegnate nelle scholae medievali (aritmetica, musica, geometria e astrologia), spiegava l’ordine del cosmo secondo la rinuncia da parte dei quattro elementi agli aspetti discordanti.
Egli introdusse inoltre nel De Institutione musicae una distinzione fondamentale, destinata ad avere grande fortuna nel Medioevo, tra musica mundana, propria delle sfere celesti, musica humana, quale si riflette nell’interiorità umana, e musica instrumentalis, fatta dagli uomini a imitazione di quelle.
Dante allude in più occasioni all’armonia delle sfere, in particolare nel primo canto del Paradiso della Divina Commedia, quando si rivolge all’Amore che governa le Sfere dei Cieli, il cui movimento rotatorio, reso eterno dal desiderio che esso accende in loro, desta la sua attenzione («mi fece atteso»):
«Quando la rota, che Tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso,
con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto, allor, del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece mai tanto disteso.»
(Dante, Paradiso, I, 76-81)